«Nel caso Unipol, ai Ds chiediamo autonomia di giudizio», dice al Corriere il leader della Margherita Francesco Rutelli. E insiste: «Dico no ai collateralismi. Ciò che mi preoccupa è la guida di un’organizzazione economica diffusa sul territorio con dirigenti che in larga parte vengono quasi tutti dalla medesima organizzazione politica». Aggiunge: «Sul piano umano, Antonio Fazio merita rispetto, però non posso dimenticare che la sua ostinazione ha causato gravi danni al Paese».
Nello stilare un giudizio definitivo sull’operato del Governatore, Francesco Rutelli misura le parole. Nel luglio scorso fu più sferzante, ora non vuol sembrare un maramaldo. «Ci sarà tempo per formulare un giudizio più ponderato, ora sottolineo solo come dall’introduzione dell’euro in poi Fazio abbia accentuato la sua impostazione monarchica, attenuato la collegialità, promosso cordate invece di impedirle, non valorizzato e poi contraddetto l’operato della vigilanza».
E ora che succederà a Palazzo Koch?
«Dovrà essere scelta una personalità di altissimo profilo ed elevata qualificazione e che riscuota il più ampio consenso. I nomi ci sono e penso che la designazione debba essere fatta a procedura invariata».
Senza nuove regole si corre il rischio di nominare un altro Governatore a vita.
«Ciampi presentò 7 volte le dimissioni ai governi che via via si succedettero. Considero scontato che chiunque venga designato rimetta il proprio mandato al momento dell’approvazione della riforma. Molto probabilmente per essere confermato».
Mi spieghi la sua posizione sulla legge per il risparmio.
«Occorre approvare le norme che riguardano Bankitalia migliorando il testo per quanto riguarda il passaggio della concorrenza all’Antitrust e l’adeguamento agli standard europei di collegialità. Quanto al falso in bilancio il governo non provi a tornare indietro rispetto all’articolato approvato al Senato».
Ma non giudicava deludente la riforma?
«Meglio una legge deludente che nessuna riforma; due anni dopo lo scandalo Parmalat siamo fermi al palo. Se la maggioranza è disponibile a migliorare il testo favoriremo una rapida conclusione. Se invece vogliono andare avanti da soli, se la approvino. Noi non faremo ostruzionismo».
C’è chi dice che la vera riforma del risparmio la sta facendo la magistratura.
«Un’esagerazione che contiene una verità, visto il fallimento dell’autorità di vigilanza. Nell’attesa di capire cosa uscirà fuori dalla collaborazione di Fiorani, l’indagine giudiziaria sta mettendo a nudo situazioni che non erano state svelate dalle strutture ispettive della Banca d’Italia».
Emerge già un’altra verità: Fiorani pagava i politici. E’ un bis di Tangentopoli?
«I politici mi paiono in una condizione più umiliante. Negli anni ’90 si servivano del malaffare, ora appaiono dei servitori impegnati a fare i lobbysti di un disegno criminoso».
La magistratura ha indagato anche Giovanni Consorte. Che giudizio si è fatto del manager Unipol e di un suo eventuale arricchimento personale?
«E’ un manager che ha pilotato il risanamento delle Coop e si è conquistato crediti sul campo. Verso di lui si deve adottare grande serenità di giudizio e totale libertà come verso qualunque dirigente d’azienda».
Denunciando i rischi di collateralismo tra sinistra e Unipol, lei ha fatto infuriare i Ds e alcuni di loro hanno contrattaccato parlando di «banche della Margherita».
«Nella mia visione della politica non esistono banche che fanno riferimento a un partito. Collateralismo non vuol dire incontrare banchieri o partecipare insieme a degli imprenditori a una tavola rotonda, ciò che mi preoccupa è la guida di un’organizzazione economica diffusa sul territorio con dirigenti che in larga parte vengono quasi tutti dalla medesima organizzazione politica».
Quindi non farete solo una legge per Berlusconi e Mediaset ma anche per regolare i conflitti di interesse “rossi”?
«Sono due cose completamente diverse. Ci vuole uno strumento legislativo serio che separi finalmente potere pubblico da interessi economici. Poi ci vuole anche una cultura politica che sappia affrontare i problemi etici chiamandoli con il loro vero nome».
Lei pensa dunque che per il centrosinistra si ponga una sorta di questione morale?
«Penso che si debba alzare il livello di precauzione proprio perché la nostra è tutta un’altra storia. Ma l’obiettivo più importante è di ridurre il peso della politica nella designazione di presidenti e amministratori delegati di enti, agenzie e società partecipate dallo Stato, dalle Regioni e dai Comuni. La questione morale di oggi è questa: dare più efficienza al servizio pubblico, sfrondare gli enti inutili e ridurre le nomine politiche».
Così si attirerà l’accusa di voler fare della Margherita un partito confindustriale.
«Fortunatamente la Confindustria non prende ordini da noi e noi non ne prendiamo da loro. Anzi noi sosteniamo che debbano essere cambiati i paradigmi che hanno guidato il rapporto tra politica e rappresentanza degli interessi negli ultimi decenni. La modernità ci impone di mettere al centro il cittadino consumatore e non più solo le associazioni degli imprenditori e dei lavoratori. E’ questa la strada maestra per ridurre i collateralismi. I fatti cambiano, diceva Keynes, e noi dobbiamo cambiare modo di ragionare. Il centrosinistra deve prendere bandiere nuove. Concorrenza, antiburocrazia, welfare che tuteli i giovani e non solo i già tutelati».
Tra i Ds ha ripreso piede una vecchia formulazione di Pinuccio Tatarella che lamentava l’invadenza dei poteri forti sulla politica.
«Non so se sia così, certo leggo molte analisi oscillanti. Prima si ridicolizzano i presunti poteri forti sostenendo che sono alla mercé dei Ricucci di turno, poi qualche pagina più avanti li si mitizza. La mia opinione è semplice: vecchi e nuovi capitalisti vanno giudicati dai progetti industriali. I Ricucci come si è visto non ne avevano».
I poteri forti alla fin fine esistono?
«Vedo tutto in lunga transizione, spero che questa fase si concluda con le elezioni. Alla fine mi auguro che in Italia esista una finanza forte assieme a istituzioni e politica forti».
La finanza rossa deve essere forte?
«I miei dubbi sulla scalata Unipol alla Bnl sono di natura operativa, non certo ideologica. In sei mesi nessuno mi ha ancora spiegato se l’Unipol ha raggiunto o meno il livello di capitalizzazione necessario per mangiare il boccone Bnl quasi quattro volte più grande. Se Consorte non ha avuto le autorizzazioni è questo il motivo oppure l’intervento di diabolici avversari?».
Obiezione: Rutelli parla così perché il presidente Bnl Abete è vicino alla Margherita.
«Chieda a un qualsivoglia banchiere se c’è mai stata un’influenza della Margherita sulla Bnl o il contrario. Si metterà a ridere. E lo stesso avverrebbe con un bancario».
E Carlo De Benedetti che ha detto di voler prendere la tessera numero uno del Partito Democratico non la imbarazza?
«Qualunque capitano d’industria che voglia impegnarsi in politica dovrà sapere cosa prevede la legge per impedire conflitti con i suoi interessi. Le opinioni politiche, invece, sono sacrosante qui come in ogni Paese dell’Occidente. Ci mancherebbe altro».
Se le dicessero che dietro tutte le querelle sul collateralismo c’è una storia di finanziamento ai partiti, si stupirebbe?
«Sì, ma visto che dobbiamo tenere la guardia alta benedico il finanziamento pubblico. La politica non deve dipendere dai ricchi e i partiti devono registrare minuziosamente ogni contribuzione liberale che ricevono».
E’ vero che dentro il suo partito e i Ds si considerano le primarie un’Opa ostile?
«Sono state un grandioso momento di partecipazione ma, come ha rilevato l’analisi fatta da Ilvo Diamanti, il popolo delle primarie è più spostato a sinistra rispetto all’elettorato dell’Ulivo. Ci vogliono dunque regole precise per evitare che in futuro la non piena coincidenza tra votanti alle primarie e elettori del centrosinistra segni uno spostamento del potere di elezione a favore di militanti e attivisti».
Quali sono ora i suoi rapporti con Parisi?
«Condividiamo la scelta strategica del Partito Democratico e ciò ci accomuna a Prodi e Fassino. Ed entrambi consideriamo la lista sotto il simbolo dell’Ulivo alla Camera una grande occasione per chiedere agli elettori di far nascere questo sogno».
La Margherita è un partito a termine?
«La Margherita è pronta a scommettere su un nuovo inizio e quando nascerà il Partito Democratico avrà adempiuto alla sua funzione. Ci siamo fissati traguardi impegnativi: progetto di governo, alleanze internazionali, autonomia dai poteri economici, pluralismo laico. Penso che sia una sfida affascinante».
Cesare Salvi ha paragonato il Partito Democratico al Ponte sullo Stretto: non si farà mai.
«Non voglio restare a metà tra Scilla e Cariddi. L’Italia ha bisogno di una forza che guidi l’agenda del futuro. Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare, diceva Seneca».
E nei rapporti con i Ds cosa segna il barometro? Tempesta?
«No. I Ds non devono temere da noi un atteggiamento concorrenziale, polemico. Nel caso dell’Unipol chiediamo loro autonomia di giudizio e di noi si debbono fidare perché in attesa del Ponte siamo sulla stessa barca».