Alle nove della sera in piazza Maggiore, la «piazza rossa» d’Italia, c’è molla, molta più gente di sei giorni fa, quando Romano Prodi chiuse la campagna elettorale e non appena il Professore si materializza da una delle stradine laterali, i cinquantamila ansiosi di festeggiare, si sgolano, applaudono, sventolano bandiere, scandiscono «Ro-ma-no, Ro-ma-no, Ro-ma- no!».
Quando Prodi sale sul palco, davanti ai suoi occhi tantissimi vessilli rossi dei Ds, il partito più forte in città, ma anche il più ammaccato e quello che più ha spinto perché la prima vera festa per la vittoria elettorale si tenesse a Bologna.
I partiti – e il Professore lo sa bene – in Italia veicolano ancora tanti consensi, eppure nelle prime battute del dopo- elezio- ni, dietro le quinte si sta riproponendo quella dialettica tra Prodi e i partiti che otto anni fa degenerò sino a portare alla caduta del primo governo progressista nella storia d’Italia.
Romano Prodi se ne è accorto tré giorni fa, durante la prima chiacchierata con Piero Passino e Francesco Rutelli.
Certo, erano passate poche ore dalla vittoria miracolosamente riconquistata alle 2,30 della notte e non era ancora tempo di distendersi in discussioni approfondite, Ma Romano Prodi e Ricardo Franco Levi hanno subito capito le difficoltà e le resistenze che i due leader sono chiamati ad affrontare sulla strada del partito democratico.
A parole, sia Passino che Rutelli, dicono che bisogna puntare «in tempi stretti» verso quell’obiettivo ma nella prima chiacchierata col Professore hanno parlato un’altra lingua, Al punto che quando la discussione è scivolata sui gruppi parlamentari unici, ad un certo punto è spuntata un’ipotesi paradossale: che il probabile futuro presidente del Consiglio si iscriva «almeno per qualche tempo, ai ‘gruppo misto della Camera».
Il 28 aprile, quando Camera e Senato torneranno a riunirsi, iparlamentari avranno tré giorni per far sapere a quale gruppo intendano iscriversi. Un’incombenza banale per la stragrande maggioranza degli onorevoli ma non per Romano Prodi che non ha la tessera di nessun partito e che vorrebbe tanto potersi iscrivere al gruppo dell’Ulivo.
Ma Prodi si è sentito opporre alcune obiezioni. Da Piero Passino che, riproponendo ciò che Luciano Violante va ripetendo da diverse settimane, ha sostenuto che formalmente saranno necessari diversi passaggi prima di poter formare i gruppi unici.
E il primo passaggio – secondo questa tesi – prevederebbe l’obbligatoria iscrizione a gruppi parlamentari autonomi – quello dei Da e quello della Margherita – per poi rapidamente passare ad un gruppo «federato».
E in questo lasso di tempo Romano Prodi che dovrebbe fare? Nella chiacchierata – che ha visto Passino e Rutelli marciare di conserva – ad un certo punto sarebbe stata ventilata persino l’ipotesi dall’iscrizione di Prodi al gruppo della Margherita, anche se poi ha preso corpo l’idea di «un’adesione al gruppo misto».
Ma quel che ha sorpreso Prodi è stato l’approccio di Passino e Rutelli, certo convinti della valenza strategica del progetto del partito democratico, ma che per il momento parlano di «struttura duale», di «diarchia», di «soluzioni federate».
E due giorni fa, nell’esecutivo a porte chiuse della Margherita, mentre Rutelli ha incoraggiato il processo del partito unico, Paolo Gentiloni, il dottor Sottile della Margherita ma anche grande amico del leader, è stato molto più cauto.
Parlano così Passino e Rutelli anche perché conoscono le resistenze all’interno dei rispettivi partiti. Ma questo approccio al ralenti esalterebbe 1 anomalia tutta italiana di un capo di governo senza identità.
Un’anomalia a suo modo figlia di un’altra originalità: a tré giorni dalle elezioni non è dato sapere per quale partito abbia votato Romano Prodi nella scheda per il Senato.
Si sa che per la Camera ha barrato il simbolo dell’Ulivo, ma laddove era aperta la competizione tra i partiti del centrosinista, si può immaginare – ma solo immaginare – che il Professore abbia votato per la Margherita.
Certo, tra Prodi e i due partiti cardine della coalizione non c’è tens ione, ma il Professore ha voluto lanciare i primi messaggi. Quando ha detto che «il governo avrà l’impronta del primo ministro».
Ma soprattutto quando ha sottolineato che id tré punti in più che l’Ulivo ha ottenuto alla Camera rispetto alla somma dei partiti sono tré punti importantissimi» per quel progetto del partito democratico» «un grande motore che può nascere entro un anno, quando avremo un gruppo parlamentare unico». E in piazza Maggiore Frodi ha urlato: «Non possiamo andare divisi davanti alla storia!».