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27 Maggio 2005

Romano e Francesco tra pane e cicoria

Autore: Francesco Merlo
Fonte: la Repubblica

BARBARA Palombelli, che è la signora Rutelli, raccontò in un´intervista familiare che la forza del suo Francesco, anzi alla romana del suo «Franciasco», sta tutta «nell´essere sempre sottovalutato». Ma forse lei lo sopravvaluta, come forse lo sopravvaluta Romano Prodi. Il quale litiga con lui e lo spinge al duello all´ultimo sangue, invece di capire che anche l´organo politico pretende il riconoscimento da parte della sua funzione, della funzione politica, perché insomma Rutelli è oggi il leader della Margherita, e la Margherita è il partito di Prodi. Ha gridato al microfono Marini: «Prodi ci ha fatto sapere che ha passato un´ora con Fassino. Mai che passi un´ora con Rutelli». Un´ora per ragionare ed elaborare, un´ora per raccogliere un poco di cicoria da mangiare con il pane.

Ma certamente sbaglia chi pensa che sia solo una faccenda di personalismi, la rappresentazione di quella «accademia del rancore» che un giorno D´Alema intravvide nel partito di Prodi, che allora si chiamava Asinello e già l´orso marsicano Marini dichiarava: «Voglio prendere a calci nel culo il somaro come si fa con gli asinelli». Oggi quello tra Rutelli e Prodi è lo scontro tra la politica-istituzione e la politica movimento, tra il culo di pietra e il viandante errabondo, tra il monumento e lo scandalo.

E non è un caso che il conflitto sia scoppiato adesso, dinanzi all´indebolimento dell´antagonista Berlusconi che teneva in piedi come una stecca ortepedica anche il suo avversario storico, il suo nemico di sempre. Davvero sarebbe banale inscrivere il dissidio di Prodi con Rutelli tra i soliti regolamenti di conti dei capibastone. È una battaglia molto più ricca e complessa di come appare a prima vista.

È infatti la lotta tra la politica e la sua funzione, tra l´organo e la sua capacità, tra la mano e la prensilità, tra l´occhio e la vista, tra l´aggettivo e il sostantivo, tra l´apparire e l´essere. La funzione-Prodi è un attributo dell´organo politico, è la forma che ha deciso di darsi quella sostanza che è fatta di Rutelli, di Fassino, di D´Alema, di De Mita…, e di tutti quelli che, ogni volta che l´albero della rigogliosa frutta elettorale inaridisce e secca, scendono dai rami, dal sopra al sotto, per mangiare cicoria, visto che non possono trovare un´altra funzione, una presidenza, un´aula universitaria, un´industria di stato.

E quella di Rutelli è davvero una storia di pane e cicoria, che vuol dire politica in tutte le sue asprezze, politica umiliata, politica dimessa, politica bastonata. La cicoria infatti è la politica dello sconfitto indomito che si vede condannato dall´ironia dei suoi stessi alleati a interpretare «la diva di Hollywood», «il leader delle cento padelle», «la sedia a rutelle». E basta aprire quel frigorifero della realtà che è l´archivio di un giornale per ritrovare tutte le altre amorevoli perfidie che riservarono a questo loro “leader per un giorno” gli oracoli della sinistra, da D´Alema a Cofferati, dal Financial Times a Le Monde.

C´era chi gli consigliava «un concorso di bellezza», chi lo considerava «solo uno spot pubblicitario», chi lo paragonava alla «statuina del presepe». Cicoria è vedersi eternamente identificato con «il bello guaglione» che, nel giugno del 2001, consegnando nelle mani di Berlusconi la più forte maggioranza parlamentare della storia repubblicana, si era ridotto a misurare l´abisso della propria solitudine alla maniera dei comici tristi che misurano il tempo con il metro o con la bilancia. È cicoria ricominciare appoggiando la scala nel vuoto per risalire sino alle stelle.

Romano Prodi invece non conosce la cicora, ed è bene che non la conosca. Non ha provato il sapore amaragnolo che anche in politica hanno la lacrime, che ha la resa. Prodi infatti è una funzione senza politica. E la funzione è sempre assoluta, senza topografia, senza un sopra e un sotto: né pane né cicoria. Professore universitario, quindi commesso di Stato, e poi premier senza partito e generale dell´esercito di D´Alema, Prodi non è mai stato considerato “indispensabile” all´organo, vale a dire alla politica, che lo evocò perché aveva bisogno di vestirsi, di darsi una pelle adatta ai tempi, agli antagonisti, alla propria debolezza, una faccia accomodante e rassicurante contro il viso terrificante di Previti, la faccia dello zio buono e pieno di competenze contro quel museo di figuri che è stata Tangentopoli.

«Con l´autorità che ci viene dal nostro ruolo, noi le conferiamo l´incarico di candidato premier della nostra coalizione», disse D´Alema al professore sul palco della Sala Umberto. Ma Prodi non è stato solo una concessione alle ossessioni di Berlusconi che non può certo dare del comunista a un democristiano statalista ma non soviettista. Con i suoi pullman, le sue biciclette, i suoi asinelli, è stato anche una risorsa di saperi, un antidoto tranquillizzante pur senza essere un rigido e algido tecnocrate, come un poliziotto di quartiere, ma di un quartiere deserto di politica.

E Prodi è stato una nobile funzione senza politica anche come presidente europeo su mandato diessino, ancora una volta fu accreditato come faccia amabile del sarcasmo di D´Alema il quale invece fu anch´egli relegato, come è facile ricordare, ad una dieta di pane e cicoria.

Rovesciato da Bertinotti e da una congiura di palazzo attribuita, non sappiamo se con ragione, a Marini e a D´Alema, Prodi, se non fosse un abile democristiano, tornando al potere rischierebbe di cadere in ostaggio del rancore, che è un vizio privato e mai una virtù pubblica: il rancore contro Marini, che della Margherita è l´anima tecnica; il rancore contro Rutelli che lui nominò amministratore delegato di un partito che, come un posteggiatore a cui si affidano le chiavi della macchina, avrebbe dovuto limitarsi a parcheggiare, a gestire in attesa del suo ritorno in Italia; il rancore contro troppi; il rancore come futuro.


Ma l´essere solo una funzione è la grande forza di Prodi, la forza che lo salverà dal rancore, perché la funzione non crea problemi all´organo ma deve invece risolverli. Mai la prensilità deve creare problemi alla mano. Al contrario è la mano che, quando ha problemi, attiva la prensilità. Prodi e la politica sono due mondi distinti che diventerebbero inconciliabili solo se si volessero reciprocamente sopraffare.

Del resto, proprio perché è funzione della politica, Prodi è oggi di nuovo candidato. E di nuovo lo è senza senza elettori militanti, senza sezioni, uffici di rappresentanza e senza segreterie; senza il pane dei congressi e la cicoria delle sconfitte; senza il pane dell´amministrazione del territorio e la cicoria del dissenso; senza il pane del colloquio con gli elettori e la cicoria delle bocciature; senza il pane della complicità con traffici e interessi, reali ma a volte non tutti legittimi, e la cicoria di capire e di non poter capire, di non voler capire e di non essere capiti; senza il pane di parlare in nome degli elettori e la cicoria di non poterlo fare con le loro parole, in nome del popolo italiano ma senza la lingua del popolo italiano.

Pur non condividendo il percorso di Rutelli, da radicale a cattolico astensionista del partito di Ruini, bisogna ammettere che il personaggio è vivo, si espone allo scandalo della conversione, alla revisione dell´estremismo antinucleare, che da giovane lo portò in galera, sino al moderatismo, che è la nuova stagione della sinistra; da verde arcobaleno a grigio democristiano, correndo persino il rischio di diventare il Follini del centrosinistra, un disadattato alla politica dei Poli, il Gianburrasca che non porta mai alle estreme conseguenze i propri umori e le proprie convinzioni. Davvero il follinismo di centrosinistra sarebbe letale per lui.

Ma ora Prodi gli rimprovera d´essersi alleato con i suoi nemici, benché Marini e De Mita non siano Berlusconi né alleati di Berlusconi, e benché siano legittimi tanto il bisogno di unità espresso da Prodi quanto il disegno di subentrare a Berlusconi nel cuore degli italiani conservatori, di bonificare la palude elettorale del conformismo di centro, di chi non vuole vivere scagliando il cuore oltre l´ostacolo, dei borghesi piccoli piccoli, dell´Italia decentemente democristiana alla quale prima o poi di nuovo bisognerà far mangiare pane e salsiccia.