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18 Novembre 2005

Riformisti e conservatori? Non è possibile

Autore: Massimo Franchi
Fonte: Corriere della Sera

Un presidente del Consiglio che saluta l’approvazione della devolution saltellando con i leghisti al grido di «Chi non salta comunista è» si commenta, ovviamente, da solo. Anzi: verrebbe da dire che basta e avanza per far sperare che, nel referendum, gli elettori provvedano a bocciare, con questa riforma pasticciata e pericolosa, anche l’idea (perniciosa) che la Costituzione possa essere cambiata, come fece il centrosinistra, o addirittura stravolta, come ha fatto adesso il centrodestra, a colpi di maggioranza, sulla scorta di calcoli e di interessi di parte.


Resta largamente da chiarire, però, se al popolo sovrano l’Unione chiederà solo (e non è poco) di rigettare questa riforma e questa concezione delle istituzioni, impegnandosi solennemente, in caso di vittoria elettorale, a non ricadere nel medesimo peccato, o se si spingerà oltre.


Se cioè giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, innalzerà sempre più in alto («come signacolo in vessillo», avrebbe detto a suo tempo Enrico Berlinguer) un’altra e ben diversa parola d’ordine, almeno all’apparenza ben più netta e radicale: la parola d’ordine, carica di storia e di memorie di grandi battaglie in Parlamento e nel Paese, secondo la quale «la Costituzione non si tocca».

Così come, per restare alle vicende di questi ultimissimi giorni, esplicitamente invoca dalle colonne del Manifesto Valentino Parlato, che dà voce a un mondo certo più ampio di quello dei lettori del «quotidiano comunista» sostenendo che la sinistra dovrebbe smetterla una volta per tutte di mettere in discussione la Costituzione del ’48, e impegnarsi piuttosto ad applicarne il dettato.

E così come potrebbe lasciare intendere anche il fatto che a guidare la campagna referendaria, dalla presidenza del comitato «Salviamo la Costituzione», sia una personalità di primissimo piano come l’ex capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, che di un conservatorismo istituzionale sicuramente nobile, sicuramente intransigente, e sicuramente assai radicato e diffuso, è senza dubbio tra gli esponenti più autorevoli e significativi.


Non c’è dubbio, il centrodestra fa letteralmente tutto ciò che è nelle sue possibilità, e magari anche qualcosa di più, per dare spazio e campo, nel centrosinistra, ai fautori, già numerosi, e combattivi, di una simile tesi. Resta tutto da stabilire, però, se per uno schieramento che si propone di riformare il Paese questa sia davvero la posizione più giusta.

Il problema non è poi così nuovo. Anche perché in molti casi, a sostenerla, sono gli stessi che nella scorsa legislatura, ai tempi della Bicamerale, gridarono al tradimento e all’inciucio, battendosi perché non si materializzasse, in danno della Costituzione repubblicana, il fantasma del Dalemone, spaventoso mostro metà D’Alema, metà Berlusconi. E non nascosero la loro soddisfazione quando la vicenda della Bicamerale si concluse con un fallimento.


Allora le cose andarono come andarono: delle riforme istituzionali bipartisan non si fece nulla. Basta per dire che una simile prospettiva è definitivamente caduta, per archiviare ufficialmente la questione, per arroccarsi, magari nobilmente, a difesa dell’esistente, di tutto l’esistente, non solo della prima parte della Costituzione del ’48?

La risposta spetta in primo luogo, ovviamente, ai riformisti dell’Unione. In ogni caso, non è davvero troppo chiedere a tutto il centrosinistra di chiarirsi (e di chiarirci) le idee prima del referendum e delle prossime elezioni politiche; di rendere chiaro se tuttora il Paese ha bisogno di riforme istituzionali; e, nel caso, di indicare come e con chi intende realizzarle. Tenendo a mente, se possibile, che (forse) è possibile essere assieme, come si diceva un tempo, conservatori e rivoluzionari. Ma conservatori e riformisti, proprio no.