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29 Giugno 2005

Riforma Giustizia: il capo dello Stato aspetta che la legge venga approvata prima di commentarla, ma al Colle il testo non piace

Imbarazzo del Quirinale: non tutti i rilievi sono stati accolti
Autore: Marzio Breda
Fonte: il Corriere della Sera

ROMA – Stavolta, dicono al Quirinale, il principio del qui tacet consentire videtur non vale. Carlo Azeglio Ciampi, cioè, non consente né dissente, rispetto alla riforma dell’ordinamento giudiziario approvata dal Senato. Resta in silenzio per tre motivi: 1) perché così gli è imposto da quella regola di correttezza secondo la quale «quando il Parlamento lavora il presidente della Repubblica tace»; 2) perché quest’ultimo passaggio è soltanto un giro di boa, nel percorso tra una Camera e l’altra, e sono ancora possibili ulteriori modifiche; 3) perché su tale materia si è aperta una prova di forza che travalica i confini della politica e che culminerà con lo sciopero dei magistrati del 14 luglio.
Un blackout doveroso, dunque. Che il capo dello Stato potrebbe interrompere con qualche commento nei prossimi giorni, quando il suo staff avrà completato l’analisi del testo votato da Palazzo Madama. Ma è un riserbo che un certo imbarazzo lo tradisce. Infatti, sui quattro rilievi di «incostituzionalità» che il Presidente aveva sollevato il 16 dicembre scorso, con la richiesta di una nuova deliberazione del Parlamento, solo uno risulta accolto sul serio e in pieno. E il compromesso raggiunto ieri sugli altri non sembra soddisfacente, se confrontato con le pagine scritte allora dai giuristi del Colle. Un provvedimento per il quale Silvio Berlusconi contestò a Ciampi di «ascoltare le sirene della s inistra» e di essere quindi condizionato – o almeno condizionabile – da una precisa parte politica. L’accusa fu subito respinta, con un’orgogliosa difesa delle prerogative che la Costituzione assegna all’inquilino del Quirinale. La successiva mezza retromarcia del premier non evitò che si aprisse una pericolosa crepa istituzionale, ciò che rese la coabitazione ai vertici della Repubblica più difficile di quanto già non fosse.
Adesso, in attesa che l’assemblea di Montecitorio incardini il secondo transito della legge, si sta verificando quel che il Colle temeva. Ossia il rischio che una riforma cruciale per l’equilibrio dei poteri dello Stato venga varata a colpi di maggioranza, senza seguire una «via del dialogo» tenacemente invocata. Oltretutto questo avverrebbe sotto l’incalzare di «forme estreme di protesta» (lo sciopero dei magistrati) che il presidente non ha mai condiviso. Insomma: nessuno potrebbe compiacersi di un simile, destabilizzante risultato, mentre Ciampi dovrà in ogni caso promulgare la legge quale gli sarà ripresentata. Perché la Carta costituzionale non gli concede «un secondo giudizio», e una seconda possibilità di rinvio alle Camere. A meno che quella firmata da Castelli alla fine non si configuri come una «nuova legge».