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7 Aprile 2005

Riforma del Polo contro l´Europa

Autore: Andrea Manzella
Fonte: la Repubblica

Tre questioni del giorno dopo: che significa la ratifica del Trattato costituzionale europeo Che cambia nel rapporto tra ordinamento europeo e Costituzione italiana Che succederà se i francesi (o altri ancora) diranno di no


La questione del significato. Con questo trattato, gli Stati dell´Unione riconoscono formalmente un fatto compiuto da anni. E cioè che le loro costituzioni ormai non contengono più da sole il «tutto» costituzionale.

Ma che per capire come nascono le loro leggi, come funzionano i loro tribunali, quale è il loro catalogo dei diritti e, perfino, quali sono le regole della loro difesa militare, occorre che quelle costituzioni nazionali siano lette in connessione a un ordinamento più largo. Interdipendente con tutte e che tutte collega fra loro.


Ma nel diritto ogni riconoscimento di fatti compiuti non è una fotografia. Aggiunge sempre qualcosa. Figurarsi in un ordinamento come quello europeo soggetto al moto perpetuo dell´integrazione fra Stati. Questa costituzione non è solo dunque un gigantesco «testo unico» che razionalizza cinquanta anni di trattati interstatali e di leggi infracomunitarie.

Essa opera in realtà una unificazione nel profondo del corpo giuridico dell´Unione. Con un lavoro di riannodo e di sutura di istituzioni e di procedure, giunge appunto a un risultato costituzionale.

Fa emergere l´unità della comunità politica europea. È un disegno ben diverso dalle attese di chi si aspettava puntualmente di vedere riflessi nell´ordinamento dell´Unione i caratteri classici della forma statuale.

Ed è un disegno appunto «costituzionale»: cioè «spoliticizzato» dei contenuti di politiche concrete, anche se si è dovuto appesantire con le loro distinte procedure di decisione, nel variegato dosaggio di competenze comunitarie e di competenze nazionali.


Questa opera di unificazione passa per il superamento delle separazioni (i vecchi «pilastri») tra materie di cooperazione economica, materie di cooperazione giudiziaria e materie di politica estera. Passa per la semplificazione del sistema delle fonti del diritto.

Le norme europee vengono ordinate in una loro nuova gerarchia e denominazione: secondo i criteri e il linguaggio giuridico comune agli europei (leggi quadro, leggi, regolamenti…) eliminando l´astruso gergo comunitario.

L´unificazione passa soprattutto per una espansione potenziale dei diritti fondamentali degli europei e della loro tutela in ogni angolo dell´insieme giuridico nazionale e comunitario. Con questi e altri apporti unificanti anche quello che è in apparenza immutato nel paesaggio istituzionale europeo, acquista attraverso le nuove interdipendenze del Trattato una sua più intensa sostanza costituzionale.


La questione del rapporto tra costituzioni. La Costituzione italiana ha rispetto alle norme europee la valvola di trasformazione del suo articolo 11. Il profondo meccanismo che nel lontano 1948 creò per la prima volta nel mondo una Costituzione «aperta».

Permanentemente predisposta, cioè alle «limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento» sovrastatuale. Ma non è un´apertura illimitata. La nostra Corte costituzionale già quaranta anni fa ha posto un contro-limite invalicabile: il rispetto del nucleo duro dell´«identità» costituzionale italiana.

Ora questo Trattato costituzionale incontra esattamente questo principio e dice: «l´Unione rispetta l´identità nazionale degli Stati membri, insita nella loro struttura fondamentale politica e costituzionale».


Vi è dunque un punto di esatta congiunzione. Ma, attenzione, vale la reciproca. L´ordinamento italiano deve rispettare a sua volta la struttura fondamentale dell´ordinamento costituzionale europeo.

Nell´unione di costituzioni ­ quella sovrastatuale e quella nazionale ­ l´una sorregge l´altra. Senza le costituzioni nazionali, quella europea sarebbe un guscio vuoto. Senza la costituzione europea, le costituzioni nazionali sarebbero prive del fondamentale legame che fa unita l´Unione: il riferimento cioè a un comune patrimonio costituzionale europeo, quello basato sui «valori della democrazia, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle minoranze», come dice il Trattato.


Vi è dunque un blocco di costituzionalità in cui costituzione europea e costituzione nazionale si intrecciano. Le ultime vicende italiane mettono a rischio purtroppo questo intreccio, ledono questo principio di omogeneità costituzionale. Sia nell´attuazione concreta che viene ora data alle norme costituzionali del 1948.

Sia con il progetto di regole difformi. Gli esempi non mancano di una situazione malata. Certo, il monopolio governativo dei mezzi di comunicazione di massa sembra aver toccato il suo limite d´efficacia sul nostro elettorato.

Ma è anche certo che esso si pone in pieno conflitto non solo con l´articolo 21 della nostra Costituzione ma ora anche con l´articolo I-71 della Costituzione europea che impone il rispetto della «libertà dei media e del loro pluralismo».


Così in tutt´altro campo, è un contromano costituzionale europeo prefigurare «competenze esclusive» delle regioni. Questa «svolta epocale», come la chiamano i ministri della Lega, si pone in realtà come una chiusura in quel sistema comune delle fonti del diritto che il Trattato costituzionale vuole scorrevole, flessibile, consensualmente intercambiabile secondo il principio di sussidiarietà.

E ancora lo scandaloso ritardo italiano nell´approvazione del «mandato d´arresto europeo», la più importante misura europea contro il crimine e il terrorismo, per giunta stravolta dalla maggioranza in un testo quasi del tutto inservibile, è una flagrante violazione del principio del mutuo riconoscimento: cardine di tutta quella essenziale parte della costituzione europea che è intestata alla cooperazione giudiziaria.

I «casi» italiani potrebbero continuare: ma certo, per la prima volta nella storia dell´integrazione, la sofferenza costituzionale italiana diviene immediatamente sofferenza europea. Quasi alla soglia di un conflitto di costituzioni.


La questione, infine, delle eventuali mancate ratifiche. Provocherebbero una grave crisi. Ma non una catastrofe «perfetta». C´è una misura altissima di irreversibilità nella integrazione europea che ne salverà la base e le strutture.

Ha perciò un respiro corto il «luddismo» costituzionale a cui, per ragioni di politica interna estranee a ogni vera specifica contestazione della carta europea, si dedica una parte della classe politica europea.

Magari la stessa classe che sostiene, in sensazionale contraddizione, la giusta prospettiva di un´Europa potenza civile: modello esemplare in un nuovo ordine internazionale di regioni multistatali. Fattore di riequilibrio mondiale in una nuova relazione transatlantica.


Ci sono, insomma, nel mondo troppe ragioni di necessità per l´Unione europea perché le congiunturali ragioni di un «no» nazionalista e populista possano prevalere su quella Europa «spazio privilegiato della speranza umana», come dice il Trattato appena ratificato.