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5 Ottobre 2005

Ramadan senza pace

Autore: Igor Man
Fonte: La Stampa

E’ cominciato il Ramadan, mese sacro dei musulmani, dedicato al digiuno purificatore. In teoria ha avuto inizio nella notte del martedì su mercoledì; in teoria perché in ogni paese islamico c’è un principio diverso. Ciò dipende dal momento in cui la prima falce di Luna diventa visibile a occhio nudo. Il Ramadan venne stabilito nel 624, l’anno secondo dell’Egira.

«O voi che credete, il digiuno (sawm oppure sivam) vi è prescritto affinché possiate manifestare la vostra pietà \ Il mese di Ramadan è quello in cui il Corano venne rivelato per indicare la diritta via, i criteri che consentono di scernere la verità dall’errore». Così recita la seconda Sura del Corano, in soli tre versetti che fanno del Ramadan il quinto Pilastro dell’islam. In Ramadan è vietato combattere, abbandonarsi alla violenza, tuttavia è peccato grave «porre ostacoli sul cammino indicato da Allah».

Ne viene la condanna della fitna: è peggio che uccidere giacché contempla «persecuzione e oppressione». Stando così le cose sparare contro i trasgressori sarebbe lecito. S’annuncia, dunque, un Ramadan difficile. (Tanto per cambiare). Vediamo.


Proprio durante questo mese sacro gli iracheni saranno chiamati alle urne (il 15 di ottobre) per il referendum sulla controversa bozza di Costituzione. In Iraq è in corso una guerra contro la società civile, quella che manda avanti la macchina-paese.

Perché, come già accaduto in Libano e successivamente in Algeria, maestri, impiegati, vigili urbani, medici, scolari, autisti, fornai ogni giorno che Allah manda sulla loro martoriata terra si recano al lavoro.

Un traffico caotico, diciamo quello romano sommato a quello di Teheran, allaga l’immensa Baghdad dove a ridosso dei tanti cantieri che funzionano a singhiozzo causa l’irregolare irrogazione elettrica, stazionano i posti di blocco della nuova polizia irachena in terribile rodaggio.

Terribile poiché il primo obiettivo dei terroristi sono proprio i piedipiatti considerati verminosi collaborazionisti. Quella irachena è una tragedia invero imbrogliata. In Libano era chiaro chi o perché quegli abitanti si scannassero (17 anni durò la mattanza) con la fosca regia della Siria baathista.

Troppo astuto per sfidare apertamente Stati Uniti e Israele, Assad, il duce siriano, lo faceva per interposte milizie, con le provocazioni dei suoi abili Servizi in modo da tenere sulla corda l’odiato «nemico sionista» e il temuto gigante americano cui, per altro, la cupola che gestiva l’hashish affidava i suoi vergognosi guadagni.

In Algeria il massacro comincia col golpe militare: ha vinto le amministrative il Fis, fronte islamico, e i generali bloccano le legislative per evitare il bis. E’ il 14 di gennaio del 1992, data di nascita della seconda guerra d’Algeria combattuta all’ultimo sangue dall’esercito e dalla gendarmeria contro la infernale Gia ch’è, in fatto, una feroce matrioska di gruppuscoli armati che operano autonomamente fuori d’ogni schema tradizionale.

Il ritorno di un mitico personaggio, Boutflika, ha come suol dirsi «normalizzato» l’Algeria ma il coraggioso presidente vive, metaforicamente, con la pistola sotto il cuscino.


Il fatto è che il polline assassino che vortica in Mesopotamia sembra, ancorché lentamente, avvicinarsi a quell’area di crisi che va dal Golfo all’Algeria passando per la Palestina traumatizzata dal geniale exploit tattico di Sharon. Lo sfratto dei coloni da Gaza ha messo a nudo la fragilità del governo di Abu Mazen in crisi tra la ferula israeliana e la fibrillazione di Hamas che vuole una terza intifada.


Codesto scenario si complica con la ripetuta minaccia dei tragici reggicoda di al Qaeda (lo stragista Zarkawi in testa) di colpire «il nemico lontano», cioè noi, l’Occidente. Osama, lo Sceicco della Morte, non è riuscito con lo stupro delle Torri di New York a sollevare tutto il mondo islamico per quella controcrociata da lui sempre sognata e lungamente preparata.

Le masse islamiche non si sono sollevate, il blasfemo Occidente è sempre in piedi, neanche gli uragani e la crisi economica riescono a rovinarlo. Secondo la diagnosi del ministro Pisanu dovremo stare in guardia tre lustri almeno per debellare il terrorismo suicida sanguinosamente intrecciato con il nazionalismo dei (non pochi) fedeli di Saddam.

Bisognerà dunque che gli uomini di pace si rassegnino alla realtà: anziché andarsene dall’Iraq, gli americani dovranno rafforzare i loro effettivi e trovare nuovi moduli di intelligence se non vogliono una guerra di 30 anni aggravata dall’atomica che l’Iran vuole assolutamente costruire. I nostri amici americani debbono prendere atto che il mondo è cambiato e che il vecchio colonialismo, ancorché liftato, non funziona più. Non serve occupare tutto il mondo per instaurare la democrazia. Bisogna imparare a conviverci, col mondo. Ed è qui il difficile