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5 Febbraio 2005

«Qui mi sono sentito a casa mia»

Autore: Nino Bertoloni Meli

ROMA «Non mi sono sentito ospite, mi sono sentito a casa mia». Di ritorno dall’Eur verso Bologna, lontano da riflettori, battimani, abbracci, baci e osanna del congresso diessino, Romano Prodi ragiona con i suoi. Il bilancio che trae è roseo che più non si può. «Quel partito è un pezzo importante della casa che stiamo costruendo, c’è una condivisione totale sulle cose come mai si era verificata. Le vecchie divisioni, gli antichi steccati, guelfi e ghibellini sono sempre più un retaggio del passato». E ancora, sempre ragionando a voce alta: «Insieme stiamo costruendo qualcosa di nuovo da almeno dieci anni e insieme continueremo a farlo». E Arturo Parisi, testa pensante del prodismo e vero cervello dell’operazione, dà addirittura atto a Massimo D’Alema di avere compreso proprio dalla rottura del ’98 che «in nome della prospettiva dell’Ulivo andava tentato un nuovo cammino». Il disarcionamento è archiviato. La competition è roba del passato, da mettere in soffitta. Il discorso con cui ha infiammato la platea diessina, Prodi lo ha scritto nella notte, ascoltando i suggerimenti di Giulio Santagata il più sinistrorso dei prodiani, è lui che gli ha consigliato di aprire con quel ‘care compagne, cari compagni’, formula di rito dei congressi delle più ortodosse socialdemocrazie nordiche.

«Ma sia chiaro, io ‘compagne e compagni’ non lo dirò mai», avverte Savino Pezzotta seduto in un angolo del ristorante con accanto Guglielmo Epifani. I leader di Cgil e Cisl offrono un quadretto unitario in sintonia con quanto sta accadendo poco distante. «Buono quel passaggio di Prodi sulla fabbrica del programma, dimostra un’attenzione ai temi centrali della lotta politica», fa Epifani. La federazione riformista come la federazione Cgil-Cisl-Uil? «Mah, caso mai quella dei tempi d’oro, dopo abbiamo solo fatto passi indietro», chiosa Pezzotta, ma è come se dicesse che lì bisognerebbe tornare. «Però per favore niente Pannella, i radicali no, è troppo», conclude lo scettico Savino con un sorriso.

Per Prodi è stata una prima volta in assoluto. Non è che fosse frequente e sperimentata una sua partecipazione a congressi diessini. All’epoca di Pesaro, più di tre anni fa, il Professore se ne stava già fra le nebbie di Bruxelles né mostrava particolare interesse a immischiarsi nelle beghe interne della Quercia, dei correntoni, dei cofferatismi. Due anni prima ancora, al congresso di incoronazione di Walter Veltroni al Lingotto, bruciava ancora la ferita del disarcionamento, era appena stato fondato l’Asinello e si era in piena fase di competition pre-regionali. Per essere stata la sua prima volta, a Prodi meglio di così non poteva andare. In coppia con D’Alema, a distanza di dieci minuti uno dall’altro, il cantiere del partito riformista è stato riaperto e spalancato. Sono andati in scena il ‘partito di Prodi’ e il ‘Prodi di partito’, incoronato monarca del progetto riformista.

In una accorta regia politica, a Piero Fassino è toccato tracciare contorni e contenuti del riformismo, ribadire la legge fisica che nulla si scioglie e nulla si distrugge, e nel gioco delle parti il leader Ds deve apparire più cauto sul progetto perché a lui tocca avere a che fare con i Rutelli e i margheriti che oltre l’ostacolo non intendono buttare né cuore né polmoni né nulla, mentre Prodi e D’Alema sono più liberi, possono spaziare, delineare il percorso, contaminare e contaminarsi. «Ma perché uno come Prodi deve stare in un partito diverso dal mio? La divisione è ormai un fatto artificioso, l’unità è il nuovo terreno da sperimentare», è quel che si sente dire in mezzo ai delegati. No, la federazione non viene più vista come «il freno a mano per bloccare il progetto riformista», come usa dire Goffredo Bettini, capo dei Ds romani e gran tessitore del nuovo corso.  E i recalcitranti? E quelli che non ci stanno? Il correntone ribadisce il no alla Fed per non parlare del partito riformista, e Pietro Folena spiega infervorandosi: «Ci dicono di fare la sinistra della Fed? Purtroppo questa

ipotesi non si vede, ci vogliono invece imbullonare a minoranza eterna atona e afona con uno statuto ad hoc».