Per certo il presidente del Consiglio non dà ascolto alle sirene dei numeri, e di ciò va dato atto. In un suo recentissimo discorso egli ha negato che il nostro Paese sia afflitto da problemi strutturali che ne avviliscono la competitività; lamentandosi dei giornali che “sponsorizzano” un´idea di declino, ha affermato che «l´Italia è ricca e fortunata». In precedenza, aveva esortato il ministro dell´Economia a non aggiustare il quadro di previsione per il 2005 in base agli ultimi dati di (non) crescita di fine 2004.
Non più di due settimane prima, in una ampia relazione svolta a Modena, il Governatore della Banca d´Italia, cadendo nella tentazione di leggere i dati, aveva dipinto il seguente quadro della situazione della nostra economia. Nei primi nove mesi del 2004 il divario negativo di crescita rispetto all´area dell´euro è tornato ad ampliarsi. L´incremento delle vendite all´estero è stato pari alla metà di quello degli altri paesi, con un´ulteriore riduzione della quota delle nostre esportazioni. Continua la perdita di competitività, dovuta soprattutto all´andamento sfavorevole della produttività. Nell´industria fra l´inizio del 2002 e il 2003 la produttività totale dei fattori (lavoro e capitale) si è ridotta di circa l´1 per cento all´anno. Nei trimestri centrali dello scorso anno la spesa delle famiglie è rimasta piatta; gli investimenti in macchinari e attrezzature sono di nuovo diminuiti nel terzo trimestre. La spinta all´aumento dell´occupazione in corso da qualche anno, grazie alle riforme degli anni Novanta, sembra essersi esaurita. La riduzione del tasso di disoccupazione è dovuta in larga misura alla minore partecipazione, ossia a un calo dell´offerta di lavoro, soprattutto dei giovani e delle donne del Mezzogiorno: si interrompe così “il processo di convergenzaverso i livelli europei” di partecipazione al mercato del lavoro. I dati più recenti confermano, e forse aggravano questa diagnosi: fra i grandi paesi europei siamo gli ultimi per crescita e le aspettative non migliorano.
Anche ad avviso del Governatore, dunque, questo paese pare essersi seduto; e, poiché, ormai da anni, non tiene il passo degli altri, va indietro. È un paese ricco Certo non è povero (il presidente ama citare un dato di Banca d´Italia sul rapporto fra ricchezza e reddito disponibile). Ma anche l´Argentina era ricca più di cento anni fa; e allora erano ricchi anche i nostri rentiers latifondisti. È un paese fortunato In che cosa consista questa fortuna non è dato vedere (anche perché per un paio d´anni ci era stato detto che la politica economica del Governo era stata perseguitata da una serie impressionante di eventi sfortunati): comunque, se fortuna vi fosse, non pare che si sia riusciti a sfruttarla al meglio. O forse l´ottimismo è giustificato dalla fiducia in politiche già intraprese, che presto dovrebbero dare il loro frutto
Nella sede richiamata il Governatore si è poco occupato di politiche. Se ne è occupata la Commissione Europea in un recente rapporto. Cito la valutazione dei progressi compiuti in diverse aree, pur con la trepidazione di essere accusato di intelligenza col nemico: finanza pubblica – limitati per il breve periodo, insufficienti per il lungo; mercato del lavoro e sviluppo regionale – limitati, pur con qualche eccezione, o insufficienti; qualificazione professionale – limitati; incoraggiamento a un ambiente favorevole alle imprese e concorrenza – limitati, con qualche eccezione.
Sarebbe ingiusto attribuire a questo governo l´intera responsabilità di una situazione (di un declino, direbbe la stampa sponsorizzante) che ha radici più profonde e origini più lontane nel tempo. È tuttavia lecito chiedersi se vi sia mai stata una diagnosi meditata per comprendere i problemi e per disporre, a inizio legislatura, un piano organico di interventi che cominciassero ad affrontarli: non pare che la risposta possa essere positiva. Si può anche osservare, sommessamente, come dicono gli avvocati, che l´ottimismo dell´immaginazione non è un buon rimedio. A un lungo inverno di scontento non si mette fine annunciando che è primavera e splende il sole: si rischia di aumentare la delusione.