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11 Ottobre 2005

Quando il rimedio è peggiore del male

Autore: Paolo Franchi
Fonte: Corriere della Sera

Comincia oggi alla Camera, si dice, una battaglia feroce, senza esclusione di colpi, tra una maggioranza fautrice del ritorno al proporzionale e un’opposizione schierata a strenua difesa del maggioritario. Non è del tutto vero. La nuova legge elettorale voluta in extremis dal centrodestra ha ben poco da spartire con il sistema che ha retto per mezzo secolo la Prima Repubblica prima di essere archiviato a furor di popolo dal referendum del 1993.

Nel merito, è un proporzionale rafforzato da dosi apparentemente massicce di maggioritario, un pasticcio meno digeribile ancora della legge in vigore, il Mattarellum, nata come un maggioritario corretto al proporzionale, e rimasta sfortunatamente tale dopo il fallimento, nel ’98, del referendum che intendeva eliminare questa «correzione». Ma, nella fattispecie, il merito conta fino a un certo punto: contano le finalità politiche.

E l’obiettivo politico di Silvio Berlusconi e di tutta o quasi la Casa delle Libertà è quello di limitare i danni della sconfitta, quasi certa, nel voto della prossima primavera; e di esportare quante più contraddizioni possibile nel campo del probabile vincitore. Per rendergli la vittoria prima amara, poi ingovernabile. La trappola è congegnata bene; ed è facile comprendere perché il centrosinistra le provi tutte per cercare di evitarla, a difesa di un bottino elettorale che considerava già acquisito.


In questo senso non c’è poi troppo di alto e di nobile in un simile scontro: di qua i sostenitori, per evidente interesse di parte, di una cattiva riforma, di là i difensori, per analogo, speculare interesse, di una legge elettorale mediocre. E, forse, in mezzo, a rendere incerto l’esito della contesa, gruppi più o meno nutriti di franchi tiratori.

Una simile rappresentazione, però, non dà compiutamente conto della posta in gioco. E’ vero, il maggioritario all’italiana, che pure ci ha dato, in tre successive tornate elettorali, maggioranze certe e via via sempre più ampie (fino a quella, vastissima, di cui ha inutilmente goduto Berlusconi), non è riuscito a mantenere molte delle sue promesse.

I nuovi soggetti politici che avrebbe dovuto generare non hanno visto la luce, e invece hanno preso corpo due coalizioni variopinte e rissose nelle quali non solo le estreme, ma chiunque disponga di una modesta percentuale elettorale esercita uno spropositato potere di veto, di ricatto e anche di indirizzo.


Va riformato, eccome, il nostro maggioritario. Il rimedio del centrodestra (un sistema in cui, per inciso, una decina di segretari-oligarchi sarebbe chiamata già al momento della compilazione delle liste a decidere la composizione del Parlamento) è però peggiore, e di gran lunga, del male.

Se ne parla poco. Ma, come se l’intento fosse quello, paradossale, di accrescere ulteriormente e oltremisura il peso dei partner più riottosi delle future maggioranze, la legge elettorale della Casa delle Libertà prevede un premio di maggioranza all’apparenza robusto, in realtà inefficace.

Con 340 seggi a Montecitorio forse può governare una coalizione di ferro, certo non uno dei due scombiccherati cartelli di cui disponiamo, nemmeno se, d’ora in avanti, si mettesse senza riserve sulla strada della virtù.

Dunque, nella tagliola predisposta oggi per il centrosinistra potrebbe finire dritto, domani, quel centrodestra che oggi si compiace della propria astuzia. Basterebbe molto meno per sperare nell’improbabile. E cioè nella sconfitta, in Parlamento, di una riforma destinata a produrre soprattutto instabilità e ingovernabilità.