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22 Dicembre 2005

Quale governatore serve all’Italia

Autore: Stefano Micossi
Fonte: La Stampa
L’emendamento del governo al disegno di legge sul risparmio risolve in modo
accettabile la questione della procedura di nomina del Governatore,
attribuendone la responsabilità al governo, ma consolidando il ruolo di garanzia
del presidente della Repubblica. L’esclusione del Parlamento spiace un poco, ma
non è grave, purché si rispetti il galateo istituzionale che impone il consenso
dell’opposizione per la scelta del Governatore.

Ora va trovato il nuovo Governatore. Sul profilo, non si deve sbagliare:
servono grande autorità internazionale, riconosciuta indipendenza di giudizio,
solida esperienza di mercati finanziari, moneta e banca centrale. Non
guasterebbe una buona conoscenza, oltre che dei banchieri centrali, anche delle
lingue, tanto per cambiare. Serve anche una provata capacità gestionale in
grandi istituzioni: la Banca d’Italia ha bisogno di radicali cambiamenti, non di
abili navigatori attenti alle sirene della politica e degli interessi
costituiti.

La questione centrale è una questione di policy: occorre una decisa
sterzata delle nostre politiche finanziarie a favore dell’apertura dei mercati
dei capitali e dell’integrazione europea. Il verminaio che sta emergendo non era
l’unica versione possibile della difesa dell’italianità; ve n’è una più seria e
temibile, che occorre affrontare una volta per tutte.

Il sistema di controllo dei «piani alti» del nostro capitalismo è reso
instabile dalla mancanza di capitale. Il problema si è aggravato con le
privatizzazioni della seconda metà degli Anni Novanta, di necessità realizzate
moltiplicando la leva finanziaria e gli intrecci piramidali, perché si scelse di
tener fuori gli stranieri. Faute de mieux, le grandi banche sono diventate il
perno degli equilibri e la camera di gestione delle crisi, sempre risolte per
via collusiva invece che competitiva.

Però, neanche l’assetto proprietario delle banche è stabile, dopo la scelta
– pur giusta e giustamente confermata dall’attuale ministro dell’Economia – di
spingere le fondazioni fuori dalle banche, in quanto espressione di interessi
non di mercato. Gli assetti instabili espongono il management delle banche alle
pressioni politiche.

Così il cerchio si chiude. La politica, spinta fuori della porta
dell’economia con le privatizzazioni, è rientrata dalla finestra attraverso la
perdurante influenza sul sistema bancario e, per questa via, sulla gestione
delle grandi operazioni a livello nazionale e locale. Tale influenza non viene
gestita al livello delle istituzioni, lo Stato, le Regioni, gli enti locali.
Viene gestita dai gruppi politici, ciascuno alla ricerca di aree di influenza e
sostegno per le proprie strategie.

Inevitabilmente, il sistema degenera in fenomeni di affarismo e corruzione;
la politica non si fa pregare, quando occorre sospendere le regole del mercato a
favore dei propri protetti. Nella trappola del collateralismo cascano,
purtroppo, anche «quelli perbene»; pur pieni di buone intenzioni, finiscono
ostaggi dei malandrini.

Si vede bene che la questione non si risolve senza una robusta iniezione di
capitali ai piani alti del nostro sistema industriale e finanziario; questo
capitale non può che venire da fuori. L’apertura del nostro mercato dei
capitali, incominciando dalle banche, è la strada maestra per ripulire il nostro
sistema finanziario, e l’intera economia, dalle tossine che lo rendono debole e
asfittico. Il pieno rispetto delle regole europee – non a caso spesso violate
dalla Banca d’Italia di Fazio – è la via maestra per ottenere il
risultato.

Vuol questo dire che siamo destinati a perdere il controllo della nostra
economia, alla fine del nostro stesso destino, finendo colonizzati e governati
da altri? Tutto il contrario. L’investimento privato, quando non è distorto da
improprie interferenze, insegue le quote di mercato e il profitto; il Paese
ospite mantiene il pieno controllo delle regole del gioco attraverso la politica
di concorrenza e le regole di stabilità e trasparenza dei mercati. L’Italia è un
grande mercato, ambito dagli investitori esteri, che ben volentieri verrebbero
qui per restarci, se solo si abbandonasse il metodo della collusione e si
aprisse il campo alla concorrenza.

A queste questioni dobbiamo pensare mentre cerchiamo il nuovo governatore.
Servono credenziali impeccabili, perché proprio accettando di aprirci, possiamo
riprendere il controllo del nostro futuro.