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16 Dicembre 2005

Profumo: “L’indipendenza non è irresponsabilità”

Autore: Francesco Manacorda
Fonte: La Stampa

«Quando si arriva al punto in cui deve intervenire la magistratura per realizzare dei cambiamenti, è sempre un fatto negativo. Ma non mi fraintenda: non sto dicendo che l’intervento dei magistrati è in sé negativo. Ma gli anticorpi avrebbero dovuto attivarsi prima. Questa è un’influenza trascurata che si trasforma in broncopolmonite. Se chi doveva farlo fosse intervenuto prima, forse sarebbe bastata un’aspirina. Ora servono gli antibiotici».

Oggi a Genova, con l’assemblea dei soci che nominerà il nuovo consiglio, Alessandro Profumo taglia il traguardo della grande operazione Unicredit-Hvb.

Un’operazione che consacra il gruppo nella pattuglia di testa delle banche europee e allontana ulteriormente il banchiere da quell’intreccio di faccende italo-italiane che – ripete spesso – non lo appassionano.

Ma se Unicredit fa il balzo in Europa, l’immagine del paese e quella del sistema bancario – definizione che Profumo contesta vigorosamente – rischiano di scivolare ancora all’indietro sull’onda dell’arresto di Gianpiero Fiorani e della marea che da Lodi monta ancora una volta attorno al Governatore Fazio. Un problema di «governance», di regole che non sono state applicate.


Un segnale grave, dunque, l’intervento della magistratura?

«Grave è piuttosto che si sia arrivati a questo punto. Dovevano esserci meccanismi di controllo preventivi, che non debbono essere necessariamente esterni, possono essere anche meccanismi di governance interni. Uno pensa che quando non funzionano i meccanismi di controllo dipende dall’esterno, io sono dell’idea che anche l’autoresponsabilizzazione sia fondamentale. Qui in Unicredit, ad esempio voglio essere sicuro che se impazzisco, la struttura interna mi ferma».


Le norme che esistono sono sufficienti?

«In parte sì, certo possono essere rafforzate. Ma più in generale un problema italiano è che non abbiamo grande coscienza della governance. Si pensa che riguardi solo i consigli d’amministrazione, in realtà comprende tutti i processi di un’impresa comprese ad esempio – in banca ­ le procedure di concessione dei crediti».


Nell’assenza di terapie preventive c’è da annoverare anche una carenza politica, mostrata ad esempio dall’iter infinito della legge sul risparmio?

«Mi sembra che determinati problemi preesistano alla legge sul risparmio. E poi si parla di reati che esulano da quella legge, rientrano in altre fattispecie».


C’è anche stata una carenza delle autorità di controllo bancarie…

«Vedremo, ci sono indagini in corso che vanno rispettate».


Con un ruolo europeo di Unicredit sempre maggiore avvertite un problema di reputazione dell’Italia che aumenta?

«Ogni volta che ci affacciamo all’estero ci vengono fatte domande su questi temi. C’è attenzione, naturalmente questi episodi sono un problema per la nostra reputazione internazionale».


Nelle tre scalate di questa estate – Antonveneta, Bnl e Rcs – vede una regia unica?

«L’impressione che si ha è che ci siano dei personaggi ricorrenti, anche se non so dire se poi c’era una regia unica. Fiorani mi sembra che fosse coinvolto da tutte le parti».


Anche la vicenda Unipol-Bnl sta tornando in una zona grigia a cavallo tra politica e finanza…

«Al di là dei giudizi di contenuto, penso che in questa vicenda ci siano stati degli interventi politici inopportuni. Non parlo per Consorte ma per chi in apparenza l’ha appoggiato pubblicamente. Questo atteggiamento ha offerto la possibilità di dire: “Vedete? sono tutti uguali”. È difficile convincere gli elettori a votare il centrosinistra se si dà l’impressione che il conflitto d’interessi sia diffuso anche da quella parte».


Quindi lei avvalora una cinghia di trasmissione perfettamente funzionante tra i Ds e il mondo cooperativo?

«Obiettivamente, da parte dei vertici Ds ci sono state interviste per difendere l’operazione Unipol che a me sono sembrate poco felici».


Morale: le coop facciano le coop e non pensino alla finanza…

«No, non sto dicendo questo. Le coop fanno un ottimo lavoro e io non ho niente in contrario a che vendano o comprino società per azioni. Ma non capisco perché sulla vicenda debba intervenire chi fa un altro mestiere. La politica ­ e parlo di tutti i partiti – ha un ruolo importante di indirizzo generale, non dovrebbe intervenire sulle singole vicende».


Sempre questa estate lei ha detto che avrebbe voluto sapere qualcosa del programma del centrosinistra per il paese in caso di vittoria alle elezioni. Sei mesi dopo lo ha capito?

«Mi sembra che qualcosa stia uscendo e che i Ds e la Margherita ci stiano lavorando in modo serio. Certo, continuo a ritenere necessario che in economia ci sia un programma forte di realizzazione di politiche di mercato in ogni campo».


Cioé liberalizzazioni?

«Non solo liberalizzazioni, ma anche in alcuni casi ri-regolamentazioni, compreso un rafforzamento delle autorità di controllo. Sono tutte cose che devono viaggiare assieme. Adesso mi sembra che ci siano authority che funzionano peggio e altre che funzionano meglio, anche come grado di autonomia dalla politica, in relazione alla modalità di nomina dei loro componenti».


Le si può facilmente obiettare che Bankitalia, del tutto indipendente dalla politica, non ha dato certo grande prova nelle ultime vicende bancarie.

«Essere indipendenti dalla politica non vuol dire non avere accountability, cioé essere privi di responsabilità, o non avere governance. Il problema, anche qui, sono le modalità di governance».


Parliamo di Unicredit. Con il voto di oggi nasce la quarta banca europea. Ma in Polonia continuate ad avere qualche problema per la fusione tra Bank Pekao e Bph. Come lo risolverete?

«Abbiamo già ottenuto il via libera antitrust ma le autorità polacche sono ovviamente prudenti su un’operazione che mettendo assieme due delle prime quattro banche del paese creerà la prima banca polacca. Troveremo una soluzione, così come studieremo modalità di collocamento organizzativo della banca polacca nel nostro gruppo che superi le diverse obiezioni».


I vantaggi per gli azionisti di Unicredit finora sembrano provati. Ma per i vostri clienti che vantaggi ci sarà da un grande Unicredit?

«Abbiamo circa 120 mila clienti corporate, cioé aziende, che hanno una presenza in almeno due dei diciannove paesi che diventano nostri mercati domestici. E per quel che riguarda i clienti retail posso dire che avremo anche delle economie di scala che ci consentiranno di essere più competitivi. In ogni caso la nostra dimensione internazionale non ci farà dimenticare il forte legame che continuiamo ad avere con i nostri territori italiani di riferimento».


Unicredit sta lavorando anche a Torino, con uno dei suoi comitati territoriali, per un progetto che coinvolgerà Mirafiori…

«Sì. A Torino, con Andrea Pininfarina che è presidente del comitato locale ci siamo trovati a ragionare sul possibile utilizzo futuro di Mirafiori che può essere un luogo emblematico della rinascita di una città peraltro molto ben amministrata. È nata quindi l’ipotesi di capire gli usi possibili di Mirafiori, assolutamente non in un’ottica di speculazione immobiliare – questo ci tengo a sottolinearlo – per capire quali elementi di attrazione si possano usare per creare una ricaduta positiva sulla città».


In che modo?

«Noi diamo i fondi per un concorso di idee. Vogliamo aggregare intelligenze e progetti attorno a questo spazio, assieme ad altri protagonisti come gli enti locali e la Fiat che farà la sua parte».


Torniamo ai fatti di questi giorni, dottor Profumo. Che cosa serve per sanare un sistema bancario italiano in cui stanno emergendo patologie gravi?

«Guardi generalizzare è pericoloso, il sistema bancario italiano è assolutamente sano. Dal punto di vista internazionale il problema è quantomeno recuperare un’immagine che oggi è peggiore di quello che realmente siamo. E poi l’apertura del mercato italiano a operatori internazionali mi sembra un elemento importante. Dimostrerebbe che le banche italiane sono perfettamente in grado di reggere alla concorrenza e darebbe ai clienti maggiore libertà di scelta rivolgendosi, se lo preferiscono, a banche gestite da operatori stranieri. Detto questo non mi piace sentire parlare di sistema bancario. Perché le banche vengono viste sempre come un sistema?»


Forse perché danno l’impressione di avere comportamenti piuttosto collusivi?

«Non capisco perché chi cerca di lavorare bene, nel rispetto delle regole, deve essere messo sotto accusa come chi quelle regole ha violato. Quando c’è stato il caso Parmalat, con un imprenditore che, a quanto pare, si è reso responsabile di malversazioni, a nessuno è venuto in mente di puntare il dito sul sistema industriale nel suo complesso. Allo stesso modo penso che ciascuna banca abbia il diritto di essere considerata per quello che singolarmente fa e non accomunata a tutte le altre».