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20 Luglio 2005

Prodi spinge Ds e Dl a rinunciare alla mozione

Autore: Claudia Terracina
Fonte: Il Messaggero
ROMA – Come sempre, l’ultima parola spetta a Romano Prodi, che deciderà se il no
al rifinanziamento della missione militare in Iraq debba essere accompagnato in
aula alla Camera da un ordine del giorno che illustri la posizione dei
riformisti sulla exit strategy. Cosa che Verdi, Rifondazione e Comunisti
italiani proprio non digeriscono. E che anche il Professore vorrebbe evitare per
non certificare la spaccatura del centrosinistra in politica estera.

La
via d’uscita per l’Unione sarebbe, dunque, solo il no comune alla missione in
Iraq, senza far votare alla Camera ordini del giorno che contengano giudizi di
merito sulla presenza dei soldati e sulla strategia di uscita delle truppe che,
come si sa, dividono l’opposizione. Tuttavia, non è escluso che le forze
riformatrici del centrosinistra possano spiegare il proprio punto di vista in un
documento politico da illustrare fuori dall’aula parlamentare. In sostanza,
dovrebbe passare la linea caldeggiata da Parisi che giudica «incomprensibile la
presentazione di documenti contrapposti». Prodi sull’argomento sta consultando
tutti i segretari dei partiti del centrosinistra. «Stiamo lavorando attivamente
per una posizione comune di tutta l’Unione- spiega- c’è un’atmosfera di buona
collaborazione con grande desiderio di una linea comune e chiuderemo prima del
voto».
Di più non dice il Professore, ma si capisce che lavora a una
mediazione. E i Ds sono d’accordo, anche se Maurizio Migliavacca, dopo la
segreteria, insiste a dire che «l’impegno è per ricercare un approdo unitario
per arrivare in aula con un documento che accompagni il no al rifinanziamento
della missione in Iraq. Comunque, sul documento politico spetterà a Prodi
decidere insieme ai gruppi parlamentari». Ancor più intransigente la
Margherita.

«Noi siamo per presentare un ordine del giorno in aula, sulla
base di quanto già detto da Prodi, che ha esplicitato quali saranno le linee di
politica estera del centrosinistra in caso di vittoria alle elezioni. E poi, non
vediamo quale sia lo scandalo di rendere note differenze che ci sono nel
centrosinistra e che tutti conoscono. Ma, certo, la decisione va concordata con
i Ds e con Prodi», dichiara Paolo Gentiloni.

La mediazione, che
porterebbe l’Unione ad accontentarsi di un semplice no alla missione in Iraq,
sarebbe ormai alle porte. «In certe situazione deve prevalere la ragion di
Stato», chiarisce il vice presidente del Senato Lamberto Dini. La rinuncia a
presentare un documento riformista da votare in aula dovrebbe però essere
l’ultima concessione di Prodi alla sinistra radicale. E questo dà il destro alla
Margherita e allo Sdi per chiarire che «dopo le primarie la linea in politica
estera sarà quella del leader candidato-premier», come spiega il socialista
Roberto Villetti. Sollevando un altro vespaio che rimette in discussione
addirittura il meccanismo delle primarie. Lo provoca la replica del verde Paolo
Cento, che risolleva la questione del programma. «L’8 e il 9 ottobre, accanto
alla scheda per la scelta del leader si voti per il ritiro dei soldati italiani
e su altre questioni cruciali, come l’immigrazione e il nucleare», provoca,
avvertendo che «senza questa disponibilità, è evidente che dalle primarie non
potranno giungere indicazione programmatiche valide per tutto il
centrosinistra». E di più fa la Margherita che nella riunione dell’esecutivo
affronta di petto “il problema Bertinotti”. «Fausto deve capire che questa volta
la sua è un’alleanza organica e non una desistenza e che la strategia del ritiro
“senza se e senza ma” ha come effetto solo il ritiro di Prodi che rischia di
apparire come un candidato premier senza una linea di politica estera», ironizza
Beppe Fioroni. In compenso, i Ds intendono dar vita a «comitati unitari di
sostegno alla candidatura di Prodi» e, garantisce Piero Fassino, «si
mobiliteranno per far avere il più alto numero di voti possibile al Professore
nelle primarie».