«Cambiare nome alla coalizione? E perché mai?». La voce di Romano Prodi, impegnato nell’ennesimo trasloco della sua vita (stavolta sull’asse BruxellesBologna, e sottolinea Bologna: «A Roma andrò tutte le volte che sarà necessario, ma non traslocai nemmeno quando ero a Palazzo Chigi…»), prende forma tra un appuntamento e l’altro con il falegname, pile di libri e scatoloni ancora da imballare. Pomeriggio domestico per l’uomo dell’Ulivo, che, dopo aver lasciato a Barroso il timone europeo, sta ora lasciando anche il suo appartamento a Bruxelles, «dove ho vissuto cinque anni straordinariamente intensi e gratificanti». «Cambiare nome? Perché? Non va bene Alleanza?» ripete Prodi, la mente impegnata altrove, per nulla sfiorato dal tormentone tutto romano su la Gad, la Fed: su come chiamare, insomma, la coalizione di centrosinistra.
Lunedì l’ex premier farà il suo ritorno ufficiale nella politica italiana e, se è ovviamente impossibile prevederne esiti e fortune, una cosa almeno è stata definita: il nocciolo duro della coalizione (il quadrilatero formato da Ds, Margherita, Sdi e Repubblicani) si chiamerà Federazione dell’Ulivo, mentre l’intero schieramento — quello che da Bertinotti arriva a Mastella — risponderà al nome di Grande Alleanza Democratica. Così fu deciso nel vertice dell’11 ottobre scorso. «E così resta».
Dopodiché, visto che la politica vive di comunicazione, che a sua volta necessita di formule incisive e possibilmente asciutte, i prodiani non nascondono la speranza che giornali e televisioni, «nella loro inevitabile necessità di sintesi», utilizzino il termine «Alleanza» per indicare la coalizione tutta e il caro vecchio nome «Ulivo» per definire i quattro partiti dello zoccolo duro, quelli del Listone alle ultime Europee.
Nessun toto-nome, «ci mancherebbe altro», conferma Arturo Parisi, che non nasconde la sorpresa e una punta di fastidio: «C’è stato un equivoco di fondo, in parte alimentato anche da alcune dichiarazioni di Rutelli (che aveva paragonato il termine Gad «al prossimo cartone animato di Disney», ndr). Nessuno di noi, in realtà, ha mai messo in dubbio i nomi scelti nell’ultimo vertice tra i partiti del centrosinistra. Il problema, semmai, è il modo in cui questi termini vengono sintetizzati: appellativi come “Gad” o “Fed” suonano male, non significano niente e rischiano di creare soltanto confusione nei cittadini. Meglio “Alleanza” e “Ulivo”: la prima dà un’idea di insieme e di pluralità, il secondo è un marchio vincente». Che poi qualche alleato arricci il naso, considerando troppo generico o poco suggestivo il termine «Alleanza», è cosa che non pare turbare più di tanto l’entourage prodiano, consapevole che ben altre sono la pratiche da affrontare e probabilmente d’accordo con quanto pensa e dice Mastella, e cioè che «alla gente non frega niente di come ci chiamiamo». Verissimo, ma è anche vero che «la questione del marchio una sua importanza in prospettiva ce l’ha» riconosce Arturo Parisi, che ancora ricorda con disappunto quando alle ultime elezioni europee la lista unitaria veniva regolarmente presentata con il termine Triciclo, «quello, sì, che aveva un vago sapore dispregiativo e molti di noi vi avvertivano un’intenzione ostile…».
Inutile dire che nella due giorni romana di lunedì e martedì (vertice dell’Alleanza e poi dell’Ulivo) la questione del nome non sarà all’ordine del giorno. Romano Prodi, anche se pressato da oggettive urgenze di carattere logicisticoorganizzativo (aperto un nuovo ufficio a Bologna, in via di ridefinizione parte dello staff, primi contatti per la creazione di gruppi di lavoro in vista dell’elaborazione del programma), non ha staccato la spina da quelle che sono le urgenze politiche, deciso a presentarsi nella Capitale con precise proposte sulle modalità di presentazione alle Regionali di primavera, i criteri delle candidature, il nodo delle primarie, la Finanziaria e, ad essa collegata, la grande manifestazione milanese dell’11 dicembre.