Tokyo – «Operazione delfino». Sul
futuro del centrosinistra Romano Prodi ha le idee chiare. Ormai si è
convinto che il Pd debba servire anche a definire la successione, ossia la
nuova guida del centrosinistra. Operazione da preparare senza strappi. Ma
con alcuni punti di riferimento precisi.
Il suo è un identikit che non lasci
dubbi: «Uno che non appartenga alla mia generazione, sufficientemente
giovane. Che non sia coinvolto in prima persona nella costruzione della
nuova formazione ma che abbia anche esperienza». Il nome evita di farlo.
Anche se in privato, con i suoi fedelissimi, qualche parola in più nei
confronti di Walter Veltroni l’ha sempre spesa. Come aveva detto qualche
mese fa il ministro dell’Attuazione del programma, Giulio Santagata, «il
sindaco di Roma si sta muovendo bene». Proprio Santagata, nel ‘98, dopo la
caduta del primo governo Prodi, aveva indicato nell’allora vicepremier il
più accreditato candidato a raccogliere le redini dell’Ulivo. Definendolo
appunto “il delfino”.
Per questo, alla vigilia dei congressi di Ds e
Margherita, il Professore ha cercato di sgombrare il campo da possibili
equivoci. Ha battuto i pugni sul tavolo per difendere la sua leadership
chiudendo la porta a chiunque volesse accelerare i tempi della «successione»
e blindandola rispetto all’uomo che considera il più accreditato per
sconfiggere alle prossime elezioni la Cdl. «Per ora ci sono io – è il suo
ragionamento, esposto anche nelle telefonate fatte con Roma prima che la sua
visita in Giappone entri nel vivo dell’ufficialità – e al momento opportuno
vedremo».
In questo modo il premier conta di frenare tutti quelli che
immaginano di ritoccare la squadra dell’esecutivo, magari con un
mini-rimpasto, dopo le assise ds e dl. Giudizi che in qualche modo hanno
rinsaldato una certa sintonia con Massimo D’Alema. Al quale il Professore
riconosce «coraggio politico» e «sangue freddo». Non è un caso che ieri il
ministro degli Esteri abbia bocciato tutte le ipotesi che vedano il
cosiddetto «doppio incarico»: uno per il partito e uno per il governo. Chi
sarà il capo del Pd, sarà anche il candidato premier.
Discorsi che
implicitamente sono stati toccati nel faccia a faccia di venerdì in
Campidoglio tra il presidente della Quercia e il sindaco di Roma. Niente di
ufficiale, niente di esplicito. Ma soltanto il fatto che i due si siano
incontrati e lo abbiano fatto sapere, ha comunque dato il senso di un’intesa
che in prospettiva può essere anche qualcosa di più. «Massimo – disse due
anni fa Veltroni – non è il mio peggior nemico, è il mio miglior amico». E
in questi giorni, il ministro degli Esteri più di una volta ha smentito in
tutti i colloqui ufficiosi che ci sia «una guerra con Walter». Anzi. D’Alema
e Prodi si sentono insomma i “king maker” della futura “scacchiera
democratica”. Un ruolo che vogliono giocare insieme e non intendono delegare
ad altri.
Anche perché in qualche modo si sentono garantiti da un’unica
prospettiva. Quella suffragata da tutti i sondaggi di popolarità che danno
quasi sempre in testa il primo cittadino di Roma. Sapendo che per il futuro
ancora più remoto ci saranno anche altre possibilità. «Franceschini ad
esempio – ha osservato di recente il premier – mi sembra abbia deciso di
proporsi come leader in una fase successiva». Non per niente nelle ultime
settimane il nervosismo degli altri «pretendenti» è cresciuto. Francesco
Rutelli non ha nascosto ai suoi uomini la necessità di uno “scatto”, di
creare un’alternativa per il suo futuro. «Una sfida trasparente» vuole il
leader della Margherita che ha colto le grandi manovre in corso nel campo
dell’Ulivo. Piero Fassino, poi, non ha gradito le critiche alla sua
segreteria e ha cercato di chiudere le polemiche sulla leadership del futuro
dopo aver prospettato proprio l’ipotesi di sdoppiare i ruoli: governo e
partito.
Per tutto questo il presidente del Consiglio sta cercando di creare
le migliori condizioni per portare l’Unione alla prossima sfida elettorale.
Persino sulla riforma elettorale preferisce procedere con i piedi di piombo
e quando gli amici che promuovono il referendum gli chiedono perché non
difenda le loro ragioni, lui serafico risponde: «Fosse per me, andrei verso
il maggioritario puro. Ma non voglio perdere nessuno della coalizione né
mettere in difficoltà il governo. Soprattutto ora che i segnali della
ripresa si presentano davvero robusti».