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8 Ottobre 2004

Prodi e la sindrome Giulio Cesare

Autore: Mario Ajello
Fonte: Il Messaggero

ROMA Chi sta pugnalando il Professore? Il «giallo» proposto da Massimo D’Alema sul «Riformista» ha una trama assai accattivante. Se non altro, per i luoghi narrati. La «vecchia Italia da passeggiate romane che sta cercando di far fuori Prodi», le torbide «oligarchie» chiuse in quei salotti «nei quali si riuniscono i king maker di professione magari con qualche editore amico» e lì «mettono in atto una campagna contro Prodi» e via così. Quanto ai nomi dei pugnalatori, che D’Alema non fa, c’è da chiedersi: chi è Bruto?
«Inutile domandarselo», dice Luciano Canfora, insigne storico e studioso di Giulio Cesare. E aggiunge: «E’ così squallida la vicenda delle evidenti manovre in corso contro Prodi che lascerei perdere ogni paragone con la storia. Qui siamo soltanto alla comica dell’autolesionismo del centro-sinistra». Quindi il Bruto non è Rutelli? E tantomeno Veltroni? Magari l’editore De Benedetti? O forse Confindustria? «Se proprio, e con sovrumano sforzo, vogliamo cercare di prenderla in maniera un po’ meno bassa di quel che è», incalza Canfora, «direi che si sta cercando di uccidere metaforicamente un re che non è ancora re. E D’Alema vuole togliersi la vecchia accusa di regicidio, risalente ai tempi della fine del governo Prodi, quindi denuncia la manovra in corso e cerca di fare scudo».
Un dalemiano doc – anche se D’Alema sostiene che «i dalemiani non esistono» – racconta di quanto sia radicato, nel presidente Ds, il ricordo di quando secondo lui gruppi extra-politici in combutta con uomini politici scaricarono ingiustamente Giuliano Amato e puntarono su Rutelli come candidato premier dell’Ulivo nel 2001. Il politologo Gianfranco Pasquino, che dalemiano non è, osserva: «C’è un conflitto spietato per la leadership e in questo tipo di conflitti entrano tutti: anche quelli che D’Alema crede siano Poteri Forti ma in realtà lo sono molto poco. I veri complottardi anti-Prodi, se vogliamo chiamarli così, sono coloro che non vogliono le primarie e coloro che le vogliono ma inutili e con un solo candidato».
Intanto Prodi racconta agli amici che «se Rutelli fosse quello del 2001, assai ulivista, molto unitario, non ci sarebbero problemi». Invece, anche se D’Alema afferma che il complottardo «non è Rutelli», i problemi ci sono. I prodiani sfogliano il «noir» dalemiano e ne parlano così: «E’ una fotografia esatta del malessere esistente nella coalizione». O meglio: «In quella immagine – ragionano gli uomini del Professore – si vedono alcune persone che non si sa bene chi siano, delle specie di ombre che tracciano un disegno diverso da quello di Prodi ma è un disegno così piccolo che quasi non si vede e non si capisce che cos’è». Comunque qualcosa che impensierisce. E che rischia di scoraggiare l’elettorato del centro-sinistra. Già intento a sfogarsi, su Internet, nel sito www.ulivo.it, con messaggi come questo firmato Montepino: «D’Alema non è certo una santarellina. Ma ha capito che il gioco rutelliano va stoppato». E poi ad occhi prodiani, le «ombre e gli strani movimenti» mirano a condizionare il Professore non solo sulla scelta dei candidati e della squadra di governo, ma anche su altri terreni. Per esempio, viene fatto notare, sulla Rai: «Prodi spinge per privatizzarla, il sistema dei partiti del Polo e dell’Ulivo vuole invece tenerla saldamente nelle proprie mani».
«Io comunque – dice Enzo Carra, della Margherita – ai complotti non credo. D’Alema scambia per congiura una situazione molto limpida. Ambienti economici, editoriali e sociali, che non credono più o non hanno mai creduto nel centro-destra, stanno sottoponendo il centro-sinistra e i suoi leader a un esame molto severo. Non è che tifano per Prodi o per Rutelli, vogliono capire meglio qual è l’offerta e la disponibilità dei vari protagonisti. E hanno tutto il diritto di comportarsi in questa maniera».
E così i pugnali parrebbero spariti, ma da qualche parte devono pur esserci. Sennò, il racconto di D’Alema non sarebbe un «giallo».