PARIGI – Cominciano a parlare insieme, Silvio Berlusconi e Romano Prodi. Distanti mille chilometri, in assoluta incomunicabilità. Il leader dell´Ulivo nemmeno sa che il suo avversario sta prendendo la parola al Senato. «Lo apprendo ora» dice a chi lo informa mentre in un albergo parigino, in contemporanea, sta partendo con una conferenza stampa. Il presidente del Consiglio, gli dicono, esalta l´orgoglio per la partecipazione italiana in Iraq. Lui quasi interrompe: «Difficile sostenere questo quando c´è una corsa al ritiro in altri paesi, come abbiamo visto in questi giorni. Ed è scoppiato il dibattito sul ritiro anche negli Stati Uniti».
Fine. Prodi non vuol sapere altro, non dichiara altro. Per tutta la giornata, scansa ogni sollecitazione. Nel disinteresse esibito c´è il senso di quel che il Professore ritiene abbia fatto il governo italiano: «nulla, nulla di nuovo». Quindi, «nessun motivo perché il centrosinistra cambi posizione». Inutile perdere tempo. Meglio, molto meglio vedere quel che è accaduto fra le mura di casa, analizzare. Magari regolare i conti. E qui la giornata è segnata dalla votazione sull´Iraq nella Federazione ulivista. Prodi all´inizio ha avuto uno scatto.
Preoccupazione, anche rabbia, appena la notizia è piombata sul suo tour politico parigino, fra una colazione con l´alleato europeo Francois Bayrou e una cena con premiazione alla Camera di Commercio. A far da mina, all´ora di pranzo, l´atteggiamento di Francesco Rutelli. Poi, fra telefonate a Roma, decantare di sentimenti, montare di ragionamenti politici, la scelta: salutare con enfasi quel che era accaduto, ridurre a quasi irrilevanza la dissidenza.
Ed eccolo, il Prodi rappacificato benedire il voto come «l´inizio della vita dell´Ulivo», che da progetto politico – gli suggerisce il suo consigliere-portavoce, Ricardo Franco Levi – «è diventato soggetto politico». Fra le pieghe degli inni alla «democrazia», arriva anche la frecciata a Rutelli & C. Alla minoranza che sosteneva l´astensione sulla missione italiana»Non è una corrente, ma un ramo dell´Ulivo». Pausa. «Anzi un rametto».
«Se i voti contrari – insiste – fossero stati meno di così, sarebbe stato un voto bulgaro. Come si diceva in altri tempi». E il dissenso viene ancora più minimizzato nelle dichiarazioni serali al Tg-Rai. «Sono proprio contento. – commenta a fine giornata, andandosene a letto -. La Federazione ha cominciato il suo esercizio. Ha superato la prova più dura. Sono certo che andremo avanti».
Con Rutelli l´atteggiamento è volutamente sornione. Sorpreso del suo voto? «Un po´», risponde. Per poi in realtà via via spiegare, sempre con un gran sorriso, che il pronunciamento del leader della Margherita, come quello di Franco Marini, «non è giunto inatteso». «E´ un´evoluzione naturale delle loro posizioni. Ci siamo sentiti fino a ieri sera». Tirar delle somme finali: «Quindi nessuna sorpresa».
Inno alla «grande maggioranza» e insieme alla «traversalità del dissenso. «Venti della Margherita e 12 dei Ds. E´ il primo vero test della Federazione. Ora si va tutti compatti al voto finale». Molta più democrazia che nel Polo, gli suggeriscono. «Ci vuol poco, non è mica un grande sforzo. – dice in bolognese, reggiano, italiano – E´ importante che ci sia una dialettica. Oggi è stata messa a dura prova da un tema delicato come l´Iraq. Su argomenti meno difficili sarà più facile». «Molto meglio sbagliare in democrazia che nella segretezza o nell´autoritarismo. – insiste nei paragoni – Chi vuole speculare su singole dichiarazioni o fatti folcloristici lo può fare, ma anche questa è democrazia».
La bonomia prodiana ha sempre più gli artigli. «Aspetto dal governo un fatto nuovo». I tagli alle tasse di Berlusconi? «Mi auguro solo che la seconda tranche non sia come la prima». Piuttosto è «impressionante» che il capo del governo abbia proposto riduzioni per «24 mila miliardi di lire». «Ragiona ancora in lire, neanche accetta che in Italia ci sia l´euro». L´Italia e l´Europa è il leit motiv. «Con la politica attuale siamo il 25. mo Paese sui 25 dell´Unione».
Asse con la Confindustria? gli chiedono dalla radio. «Non c´è nessun appoggio da Montezemolo» risponde. Se convergenze ci sono non è per «scelte politiche» ma su «gli interessi dell´industria italiana che il governo ha lasciato andare alla deriva». «Ho affermato, affermo e affermerò sempre che un paese senza industria è un paese finito. In questi anni, invece, il messaggio è stato diverso. E´ un´angoscia ascoltare il parere all´estero sull´Italia del governo Berlusconi». Per recuperare occorre «legalità, legalità, legalità. E regole chiare e precise». Il discorso arriva al conflitto di interessi: «un circuito vergognoso che abbiamo soltanto nel nostro paese e in un paio del Terzo Mondo». «Bisogna interromperlo». Come? «Studiando una soluzione, sui tanti esempi stranieri. E´ una cosa di una semplicità estrema: io non posso prendere una decisione che riguarda eminentemente la mia ricchezza personale». «Questo è il conflitto di interessi» dice in un´Italia «dove sono cinque anni che non si discute di niente». E la contrapposizione dall´Europa scende ai due schieramenti italiani. «Noi – racconta il leader dell´Ulivo – ascolteremo voci, lavoreremo insieme e poi faremo le schede del programma in anticipo rispetto alle elezioni politiche. Dall´altra parte, invece, si prende un giovanotto, gli si dice: “vieni qua, scrivi quello che ti detto”. Con noi torna la democrazia».