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16 Aprile 2007

Problema: chi sceglie chi

Autore: Gianfranco Pasquino
Fonte: L' Unità

Non è affatto sicuro che il leggendario popolo delle primarie il 16
ottobre 2005 sia andato a votare per la scelta del candidato alla Presidenza
del Consiglio avendo anche in mente un, allora inimmaginabile, Partito
Democratico.

Dunque, tirarlo, quel “popolo”, tutto in ballo in continuazione
per legittimare un Partito che non c’era allora e non c’è ancora adesso, è
sicuramente eccessivo. Tuttavia, va ricordato che, una volta preso atto
e lodato l’’impegno organizzativo dei Diessini, che quei 4 milioni e
trecentomila elettori costituivano all’’incirca cinque volte tanto gli
iscritti ai partiti dell’’Unione.

Dunque,
se il problema che si pone adesso, in maniera alquanto prematura ovvero
“preventiva”, poiché siamo in attesa dei congressi di DS e Margherita,
è già quello delle modalità di elezione della futura Assemblea
Costituente, allora bisogna prendere sul serio sia le parole dei
dirigenti di partito che le cifre delle primarie (che sono le poche che
abbiamo). Le parole dei dirigenti di partito, ma anche dei sostenitori
del PD, dicono, persino ossessivamente, rinnovamento, ringiovanimento,
rappresentanza delle donne. Tutto questo, preso sul serio, significa
che i dirigenti di partito ultracinquantenni, quasi tutti uomini,
debbono prepararsi a lasciare le loro cariche, anche quelle elettive,
in tempi e in modi che non provochino sconquassi per il governo.

Pertanto, la
loro rappresentanza in sede di Assemblea Costituente, al fine di non farli
cadere in tentazione, dovrà essere molto ridotta. Suggerirei, e passo a dare
i numeri, non più di un quinto del totale. Chi ha un minimo di esperienza
delle dinamiche assembleari sa che, al di sopra di una certa cifra, le
assemblee diventano manipolabili e risultano poco funzionali ad un dibattito
reale, approfondito, mirato a decisioni efficaci. La mia proposta è che
l’’Assemblea Costituente del Partito democratico sia composta, non da mille,
che mi pare una cifra stratosferica, ma da 575 delegati: 100 scelti dai
partiti contraenti che decideranno loro con quale metodo, 475 dai cittadini
che si iscriveranno al Partito democratico. 475 è esattamente e non
casualmente il numero dei collegi uninominali del Mattarellum che, non tanto
incidentalmente, avrebbero dovuto, secondo il programma dell’’Ulivo,
trasformarsi in “convenzioni di collegio” dove gli eletti si sarebbero
periodicamente confrontati con i loro elettori mettendo in atto una dinamica
virtuosa di rappresentanza e di comunicazione politica.

Non
credo sarebbe il caso, in partenza, precostituire una parità di esito
nella rappresentanza di genere alla quale, invece, dovrebbero pensare i
partiti scegliendo le loro delegate. Suggerirei, invece, alle donne di
ciascuno collegio e alle associazioni di darsi da fare non soltanto per
candidare, ma per votare e cercare di fare eleggere candidate donne.
D’’altronde, se il persin troppo ripetuto slogan «una testa un vuoto»,
che a molti pare un principio assolutamente elementare in democrazia,
deve trovare immediata applicazione, allora non può pretendere di
imporre una candidatura rispetto ad un’altra né tantomeno precostituire
elette e eletti.

Da questo momento, però, cominciano
i problemi che riguardano proprio le modalità delle candidature e poi delle
elezioni nei singoli collegi uninominali. È opportuno tornare al criterio
fondamentale che consiste nel raccogliere a sostegno di ciascuna candidatura
un certo numero di firme, né troppo basso, per evitare personalismi e
folclore, né troppo alto, per scoraggiare prove di forza e esibizionismi. È
altresì auspicabile che la competizione sia trasparente e regolamentata
senza dare vantaggi iniziali a nessuno.

Da ultimo, sarebbe opportuno
chiedere, se non addirittura, come preferirei, imporre, a candidate e
candidati nei singoli collegi di esprimersi su tre temi assolutamente
cruciali per il futuro partito democratico. Il primo tema è quello del
“Manifesto dei Valori” dal momento che sembra che quello redatto sia
diventato, sotto il fuoco delle critiche, emendabile e che, anzi, sarà
possibile stilarne un altro di diverso spessore. Il secondo inevitabile tema
è quello della collocazione europea del Partito democratico che è diventata
ancora più importante dopo le nette affermazioni di Rasmussen che ha tolto
le illusioni sulla possibilità di collocazioni temporanee e fluttuanti. Il
terzo tema, sul quale è chiaro che il Parlamento ha enormi difficoltà a
raggiungere intese, sul quale l’’Unione non raggiunge sintesi e sul quale
incombe risolutivo il referendum elettorale, è proprio quello della legge
elettorale prossima ventura.

Continua a circolare un’’espressione, che
considero offensiva per l’elettorato: «la gente non ci capirebbe». Sono
quasi sicuro che la “gente” capisce molto di più di quello che i politici
vorrebbero comunicarle. Nel caso specifico della legge elettorale, quella
“gente” vorrebbe, non soltanto saperne di più, ma anche essere messa nelle
condizioni di influenzare in qualche modo la decisione. Una campagna di
massa condotta da tutti i candidati e le candidate nei vari collegi farebbe
circolare una quantità di informazioni importanti. Chi avrà vinto saprà di
dovere tenere fede alle sue promesse, con la disponibilità, naturalmente, ed
eventualmente, magari tornando di fronte al suo elettorato di collegio, di
spiegare quale sia il second best, ovvero, nelle condizioni date il
compromesso possibile e praticabile.

Tutto questo è compatibile con la
progettazione di un Partito che voglia essere nuovo e democratico,
partecipato e coerente con le sue premesse, al limite, anche/persino
socialista.