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9 Novembre 2005

Più potere agli elettori

Autore: Michele Salvati
Fonte: Corriere della Sera

Sono pochi i partiti del nostro Paese in cui più o meno funziona la tradizionale «democrazia degli iscritti», quella che, dai semplici iscritti nelle sezioni di base, conduce agli organi dei diversi livelli territoriali, sino al rito finale del Congresso nazionale e dell’elezione del segretario di partito. Il più votato tra i partiti italiani, Forza Italia, neppure si conforma a questo antico modello democratico. E molti fra quelli che formalmente vi si conformano hanno livelli di partecipazione e di discussione interna così infimi e così manipolati che avrei qualche dubbio a parlare di «democrazia degli iscritti».

 Mi dispiace di non poter entrare ora nelle ragioni strutturali che hanno provocato questa caduta di partecipazione e democrazia interna. Mi limito a registrare un’opinione sulla quale gli studiosi sono concordi: delle funzioni tradizionalmente svolte dai partiti (informazione, formazione, sintesi ideologica…), una sola essi svolgono anche oggi, la più importante, quella della quale non possono essere spogliati in democrazia. Si tratta della selezione della classe politica, in particolare dei candidati alle cariche assembleari o monocratiche per le quali la Costituzione e le leggi prevedono un ricorso alle elezioni. Fosse solo per questa funzione, occuparsi della democrazia interna dei partiti, dei modi in cui possono essere contrastate le tendenze al suo indebolimento, di come essa possa essere rafforzata dall’esterno, è questione vitale: abbiamo bisogno, come cittadini, che coloro i quali occupano le cariche elettive siano persone scelte bene. E’ vero: alla fine le scegliamo noi con il voto. Ma le candidature sono una parte essenziale del processo di scelta: noi scegliamo tra candidati proposti dai partiti, e con la legge elettorale oggi in discussione questo potere oligarchico di proposta non ha alcun correttivo. Se le proposte sono scadenti, che cosa possiamo fare se non turarci il naso?

 Al di là delle ragioni contingenti che hanno indotto di recente alcuni partiti a far uso di elezioni primarie, le ragioni di democrazia che ho appena esposto sono più che sufficienti a giustificare una riflessione seria sull’uso di questo istituto in modo più formale e meglio regolato. E’ vero: si tratta di un trapianto da situazioni diverse, in cui i partiti sono, in sostanza, comitati elettorali non dotati di una vita continua e di regole associative come quelle che si sono affermate in Europa. Ma abbiamo appena visto che i partiti europei si sono molto indeboliti. E anche se ci si sforzasse di rinvigorirli (ciò che va comunque fatto), la sola «democrazia degli iscritti» potrebbe rivelarsi insufficiente a garantire i risultati che vogliamo ottenere. Anche nei pochi partiti in cui «più o meno» la democrazia interna funziona, gli iscritti sono spesso o vecchi e nostalgici militanti, o più giovani carrieristi, o ancor più giovani idealisti: «Il socialismo è bello, ma sacrifica troppe sere», osservava cinicamente Oscar Wilde, e solo i duri e i puri, o chi ha poco da fare, o chi ha un interesse personale, sono disposti a sacrificarle. Rispetto ai votanti/simpatizzanti per il partito, gli iscritti sono un piccolo campione, che non rappresenta affatto l’universo ed è spesso manipolato dai dirigenti e dai quadri intermedi. Tony Blair, quando ha voluto svoltare in direzione degli orientamenti che riteneva prevalessero nel potenziale elettorato del suo partito, ha dovuto combattere duramente contro il Constituency Labour Party, contio i militanti e i quadri intermedi, e ce l’ha fatta per il rotto della cuffia. lnsomma, le primarie altro non sono che un modo per affiancare, per un insieme di candidature ben identificate, alla «democrazia degli iscritti» la «democrazia dei potenziali elettori».

Tra i riformisti del centro-sinistra, dopo lo strepitoso successo delle primarie per Romano Prodi, si è tornati a parlare di un unico partito, del «partito democratico». Quale migliore occasione, in un processo costituente che non sarà breve, per mettere nell’agenda, e in posizione di spicco, il problema della democrazia di partito, sia della democrazia interna (degli iscritti), sia dei potenziali elettori (primarie)? Gregorio Gitti ha cominciato a discuterne giovedì scorso su questo giornale, secondo un profilo prevalentemente giuridico. Sarebbe opportuno che la discussione continuasse.