2222
19 Aprile 2006

Più garantismo, meno furbetti

Autore: Dario Di Vico
Fonte: Corriere della Sera

Dunque Stefano Ricucci con l’aggiotaggio ci stava riprovando. Non contento del flop del 2005 l’immobiliarista lavorava per ritessere le fila di un nuovo imbroglio finanziario. Stava operando per far salire artificiosamente il titolo Rcs e tentare disperatamente di collocare al rialzo la quota di azioni che ancora possiede. Questo è quanto filtra dalla Procura di Roma ed è sicuramente un bene che la nuova macchinazione sia miseramente fallita, come la prima.

Eppure il provvedimento di custodia cautelare emesso nei suoi confronti dai magistrati romani non convince. Pur restando in attesa degli sviluppi dell’indagine capitolina, che potranno anche essere clamorosi, si deve ragionare in maniera fredda e distaccata.

E allora è evidente a chiunque che sono passati ormai svariati mesi dal momento in cui l’ex odontotecnico di Zagarolo poteva annunciare al colto e all’inclita che avrebbe preso il controllo del Corriere della Sera. «Un Ricucci � era il suo refrain � può portare valori aggiunti». Ma se in agosto si presentava come un raider che, approfittando della mancata vigilanza delle autorità preposte al controllo e della compiacenza di alcuni scaltri banchieri d’affari, operava indisturbato sui mercati finanziari, oggi la stessa persona appare un operatore in difficoltà che cerca in maniera disperata e fraudolenta di evitare il default della sua Magiste. Ma c’era la necessità impellente di arrestarlo dopo aver scartato quest’eventualità la scorsa estate? Aveva forse in animo di fuggire? Non si potevano interrompere le sue trame truffaldine con altri e più sofisticati metodi?

Sono domande che valgono per Ricucci ma non solo, non dobbiamo abituarci a convivere con le malattie della nostra giustizia. Con i processi che finiscono per non essere mai celebrati e con la custodia preventiva che diventa il pagamento anticipato di una pena che non sarà mai comminata. Il garantismo non può essere a senso unico e lo diciamo proprio noi del Corriere della Sera che di Ricucci e dei suoi avidi amici dovevamo essere lo scalpo. Garantisti dunque, ma non innocentisti.

Non ci sfugge che dell’assalto alla Rcs l’immobiliarista non fosse certo il cervello. Se i furbetti del quartierino avevano un capozona non era di sicuro l’allora promesso sposo di Anna Falchi. Attorno a lui, vale proprio la pena ricordarlo, si era formata una rete di rapporti e di solidarietà assolutamente sorprendente.

Il network di coperture aveva nell’inquilino di palazzo Koch e nei banchieri a lui fedeli un punto di riferimento decisivo, ma poteva contare anche sulla benevolenza di personalità di primo piano sia della maggioranza sia dell’opposizione che non ebbero remore a spendersi a favore del raider venuto dal nulla.

Spuntò persino una singolare teoria in virtù della quale la capacità di intrapresa dei Ricucci, degli Statuto e dei Coppola avrebbe potuto addirittura rivitalizzare l’esangue capitalismo italiano privo ormai di leadership carismatiche e di voglia di rischiare. La vittoria del mattone ricco e smart contro l’industria non competitiva e demodé.

Ricordarlo a sette-otto mesi di distanza sembra un’operazione archeologica tanto oggi quelle tesi appaiono paradossali e improvvisate, eppure quel dibattito tenne banco per settimane e settimane mentre il mercato finanziario italiano viveva giornate da Far West. Persone di buona cultura e di altrettanto sano equilibrio come l’allora senatore Franco Bassanini si sforzarono di argomentare in senso inverso, di riportare nei palazzi della politica e nelle suite della finanza la lucidità perduta.

Non sempre hanno trovato consensi attorno a sé e qualche prezzo alla fine lo hanno pagato. In questi mesi attorno alle gesta di Ricucci è sorta una piccola letteratura. Libri e pamphlet hanno ricostruito minuziosamente le vicende finanziarie che lo hanno visto accumulare fino a circa il 20% delle azioni della Rcs e progettare la più inverosimile delle Opa. Ma pur non sottovalutando il contributo di questi lavori resta in molti la sensazione che la vera storia di quell’agosto debba ancora essere scritta.