Sono un vecchio e convinto regionalista. Partecipai con entusiasmo alla elaborazione degli statuti regionali, mi opposi poi alle reiterate resistenze centraliste contro il trasferimento effettivo alle Regioni delle funzioni conferite loro dalla Costituzione, ho sempre pensato che sia più democratica e più efficiente una organizzazione pubblica che non decide tutto al centro, ma diffonde le responsabilità fra i governanti regionali e locali. Eppure, quando leggo nella riforma costituzionale che sta avanzando in Parlamento che la nostra repubblica dovrebbe diventare la “Repubblica federale italiana”, sento dentro di me una incoercibile inquietudine. E ritengo mio dovere spiegarne le ragioni, interrogando in tal modo anche gli altri sui dubbi che assalgono me. So bene che nel contesto di una riforma fra le più controverse della nostra storia queste proclamazioni di federalismo sono fra le poche novità quasi unanimemente condivise (è Domenico Fisichella la bandiera quasi solitaria dei contrari). E so anche di avere io stesso contribuito a metterle in circolazione, quando presentai, come Ministro per le riforme del governo D´Alema, il disegno di legge che avrebbe dato origine alla riforma poi approvata del Titolo V. Il disegno di legge era proprio intitolato “Ordinamento federale della Repubblica” e con queste parole intendeva aprire il nuovo Titolo V, cosa che poi non accadde, perché il Parlamento preferì mantenere la preesistente formulazione, e cioè “Titolo V. Le Regioni, le Province, i Comuni”. Nonostante quindi le responsabilità mie e di tanti altri, il federalismo non è ancora entrato nella nostra Costituzione. Siamo ancora in tempo, allora, a farci le domande che dovevamo farci prima: ma siamo davvero sicuri di volerlo? E se lo vogliamo, perché?
Non basta accampare il bisogno di più potere diffuso e di più sussidiarietà. Né basta evocare la giusta necessità di dotare l´Italia di una Camera più direttamente rappresentativa delle Regioni. Il panorama sempre più variegato dei sistemi costituzionali esistenti nel mondo ci dimostra infatti che questi elementi non sono sufficienti a caratterizzare uno Stato come federale, perché possono comparire anche in Stati che federali non sono. Non a caso i giuristi parlano di un “continuum” lungo il quale si passa da ordinamenti che sono sicuramente federali ad altri che invece non lo sono, pur essendo dotati di forme diverse di accentuato regionalismo. Nonostante però il “continuum”, la distinzione tra federale e non federale resta ed esprime ora storie diverse, ora aspettative diverse e soprattutto quando si tratta di aspettative è essenziale che sia chiaro di che cosa si tratta.
Stati federali sono sicuramente quelli che hanno alla loro origine un patto federativo fra unità statali pre-esistenti, che decisero di mettersi insieme, di creare un livello di governo sovrastante e di conferirgli quote crescenti della loro iniziale sovranità. A lungo si pensò che solo in questi casi si potesse parlare di Stati federali, in ragione di una tale origine storica e dei caratteri istituzionali che ne conseguivano: così è per gli Stati Uniti, l´Australia, la Germania. Ma poi abbiamo avuto Stati che sono nati unitari e che sono diventati federali ed il caso più noto è quello del Belgio. Qui non è la storia la ragione del federalismo né lo è il bisogno di un più accentuato rispetto del principio di sussidiarietà. La ragione è la tensione non più gestibile fra comunità etnico-linguistiche diverse e sono tali comunità a porsi come entità federate, con l´intenzione e l´aspettativa di ridurre al minimo le regole comuni e di decidere il più possibile dei rispettivi destini ciascuna per proprio conto.
Non c´è dunque federalismo senza riconoscibili ed esplicitate entità che si federano; ed anche se poi diversi degli elementi istituzionali che ne escono coincidono con quelli di Stati a forte regionalismo, la natura federale tende a produrre un effetto complessivo, che fu colto con grande lucidità da Costantino Mortati: in uno Stato regionale le leggi e le scelte delle Regioni si inseriscono in un “sistema di norme reciprocamente armonizzante”, che fa da complessiva cornice unitaria. In uno Stato federale convivono sistemi normativi diversi (o perché pre-esistevano o perché si vengono formando), che vengono ridotti ad unità soltanto per aree e per settori specifici.
E allora: sono quelli testé descritti i significati del federalismo italiano? Riconosciamo nelle nostre Regioni l´involucro istituzionale di identità etniche e culturali diverse? Ed intendiamo correlativamente ridurre al minimo la nostra unità ordinamentale, con leggi, tassazioni e protezioni di diritti in linea di principio diversificate per regione, salvo aree limitate di uniformità? A leggere il testo della stessa riforma, per non parlare di ciò che emerge dalla legislazione delle nostre Regioni, si direbbe nell´insieme di no. La Lega ha parlato e continua a parlare di nazione padana, ma è l´unica a farlo, non lo fa la riforma che essa stessa sta approvando e non ci pensano proprio le Regioni, le quali, quando tutelano la propria identità, non fanno mai riferimento a tratti etnici o linguistici, ma alla loro qualità ambientale, ai loro prodotti tipici, al loro profilo storico culturale (salvo i limitatissimi casi di Regioni o Province di frontiera a speciale autonomia, che hanno gruppi etnici diversi). Quanto all´unità ordinamentale, puntano in una direzione effettivamente diversa le nuove competenze “esclusive” che si vogliono attribuire a tutte le Regioni, ma è un fatto che si prevede di accompagnarle con una nuova competenza trasversale del Parlamento nazionale, grazie alla quale esso potrà sempre intervenire (e nelle stesse materie di competenza regionale “esclusiva”) a tutela dell´unità giuridica, sociale ed economica dello Stato.
Che cosa avrà allora di effettivamente federale la Repubblica federale italiana? Diciamoci la verità: se la maggioranza di noi ha accettato il federalismo al solo o prevalente scopo di usarlo come specchietto per allodole per attirare e tener buona la Lega, abbiamo tutti commesso una grave leggerezza. Primo, perché la Lega non è un´allodola, ma una forza politica, che necessariamente ne farà comunque una piattaforma per dilatarne significati e conseguenze. Secondo, perché in ragione di ciò e del peso oggettivo che la nuova cornice federale non potrà non avere, la sua presenza in Costituzione, circondata da cautele e contrappesi volti a negarla, ci prepara nella migliore delle ipotesi un futuro fatto di incertezze, di contraddizioni e di conflitti. E dico nella migliore delle ipotesi, perché ce n´è anche una peggiore, che nasce da un cattivo pensiero che non riesco a cacciarmi dalla testa.
Non tutti sanno che quando si trattò di riconoscere la reciproca indipendenza delle repubbliche già incluse nella Repubblica Jugoslava, lo si fece sulla base di un lodo, il lodo della Commissione presieduta da Robert Badinter, che dilatò enormemente i principi del pre-esistente diritto internazionale. In precedenza il diritto alla auto-determinazione e quindi alla secessione era stato riconosciuto, soprattutto nei processi di decolonizzazione, a chi avesse una originaria indipendenza e avesse subito un´occupazione straniera. Badinter lo riconobbe alle repubbliche ex jugoslave, solo in quanto entità federali già dotate di un governo e di poteri autonomi, a prescindere dalla originaria indipendenza. Io mi auguro che Umberto Bossi la secessione l´abbia messa da parte, ma non c´è dubbio che la federalizzazione della Repubblica, sulla base del lodo Badinter, mette un´arma legale nelle mani di chi volesse sostenerla.
La conclusione è obbligata: se le cose stanno come penso e se la larga maggioranza del Parlamento ha assentito alla federalizzazione più per leggerezza che per convinzione, onestà e responsabilità verso il futuro vogliono che le si dica di no prima che sia troppo tardi e che si torni a lavorare, migliorandolo, sul nostro bel modello di Stato regionale. Mentre, se il Parlamento andrà avanti, sarà davvero essenziale la voce dei cittadini.