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26 Settembre 2005

Perché le primarie non funzionano. Sfida a destra, voto a perdere

Autore: Ernesto Galli della Loggia
Fonte: Corriere della Sera

Già era discutibile la versione delle primarie adottata dal centrosinistra, e cioè l’idea non già di una reale gara per l’investitura (la leadership di Prodi, infatti, non è stata mai messa in dubbio da nessuno), quanto piuttosto di una consacrazione pubblica dello stesso Prodi — privo come si sa di una sua propria base — nonché di una specie di sondaggio tra i militanti al fine di consolidare questa o quella posizione negoziale futura.

Ripeto: già questo del centrosinistra era, ed è, un modo abbastanza singolare di intendere le primarie. Ma con il progetto che delle medesime primarie sta adesso mettendo in cantiere il centrodestra, dalla singolarità si rischia di passare al puro e semplice grottesco, con in più un quasi sicuro suicidio politico.


Il punto decisivo è che a differenza che nell’Unione, nella Casa delle libertà dovrebbe essere proprio la leadership, la scelta della personalità a cui affidarla, l’oggetto del contendere delle primarie: Berlusconi o Casini? (Fini, mi pare, si aggiungerebbe solo per fare atto di presenza). All’apparenza, dunque, sarebbero delle primarie abbastanza simili al prototipo americano.

Solo all’apparenza, però: negli Usa, infatti, una volta terminata la contesa i candidati sconfitti si ritirano immediatamente nell’ombra e in pratica scompaiono o quasi da quella tornata elettorale. In Italia invece non accadrebbe nulla di simile.


Poniamo il caso, infatti, che le primarie (come è molto probabile) le vincesse Berlusconi: ebbene, anche in questo caso Casini e Fini continuerebbero però a essere presenti come prima sulla scena e continuerebbero naturalmente a capeggiare l’Udc e An che, si presume, nelle successive elezioni dovrebbero comportarsi da soci fedeli dello schieramento di centrodestra. Casini e Fini, cioè, dovrebbero fare di tutto per consentire la vittoria elettorale di quello stesso Berlusconi che poche settimane prima avrebbero combattuto davanti al Paese in decine di comizi, interviste, discorsi televisivi nei quali avrebbero cercato di mostrare quanto fosse poco adatto a fare il candidato del Polo e a vincere le elezioni. In un breve giro di tempo, insomma, Casini e Fini dovrebbero magicamente trasformarsi da rivali in alleati fedeli e rimangiarsi uno per uno tutti gli argomenti impiegati solo qualche settimana prima facendo finta di non averli mai enunciati.


Mi chiedo: è pensabile che un simile garbuglio possa funzionare? In realtà primarie svolte in questo modo (ma in quale altro, sennò?) equivarrebbero più o meno a un virtuale scioglimento dell’alleanza di centrodestra, dal momento che in politica —come molto spesso anche altrove, del resto — la scelta di chi comanda non è elemento accessorio, bensì costitutivo, di un’intesa. E tanto più ciò è vero nel caso del centrodestra italiano dove, ame sembra, un Polo con un leader non solo diverso da Berlusconi, ma addirittura scelto in competizione contro di lui, è del tutto inimmaginabile.


È anche inimmaginabile, però, che queste ragionevoli considerazioni non siano state fatte anche da coloro che a destra sostengono l’ipotesi della primarie. E allora? Allora non resta che pensare che la richiesta delle primarie non sia veramente tale ma non sia altro, in realtà, che un momento di quel complesso gioco tattico che si è aperto da settimane nella Casa delle libertà per allentare il vincolo dell’alleanza, mantenendola in vita sì: ma con maggiore autonomia e visibilità per le singole componenti e comunque con un minore, molto minore, peso della leadership berlusconiana. Con quale effettivo risultato finale, però, nessuno lo sa o vuole dirlo.