8 Ottobre 2005
Per l’Italia di Ciampi senza se e senza ma
Autore: Eugenio Scalfari
Fonte: la Repubblica
LA DEMOCRAZIA è inclusiva per definizione. Il suo fondamento è quello di includere, non di escludere. Il suo unico “assoluto” (e tutto il resto è relativistica altrimenti non potrebbe includere) è d’impedire che le culture dell’assolutismo distruggano il sistema democratico. Il suo canone. Il suo presidio di libertà.
Vorrei partire da questa definizione per leggere correttamente quanto sta avvenendo in questi giorni nell’Italia politica e nell’Italia sociale, due piani di ascolto e di analisi che consentono di esaminare la nostra società nella sua interezza in una fase particolarmente agitata.
La campagna elettorale ormai in corso vede infatti la mobilitazione di tutti i gruppi di pressione, partiti, sindacati, associazioni economiche, movimenti culturali, istanze religiose, con l’obiettivo di posizionarsi per ottenere i migliori risultati possibili dal voto popolare e dagli effetti che potrà produrre sulla dislocazione del potere, la distribuzione delle risorse, la dinamica dei valori in gioco.
Nei momenti culminanti della vita democratica (il voto è uno di essi) è normale che i gruppi di pressione si mobilitino. Per interpretare i bisogni e le speranze dei cittadini. Per raccoglierne il consenso attorno ai valori e agli interessi dei quali ciascuno di loro è portatore. Per affermare la loro visione del bene comune. Per marcare differenze e negoziare alleanze.
Lo spettacolo d’una democrazia operosa, nella quale valori e interessi si confrontano con energica e onesta chiarezza, può essere esaltante. Oppure può essere avvilente e frustrante quando i messaggi sono trasmessi da lingue biforcute e impastati di menzogna e ipocrisia.
Chi osserva con occhi sgombri dal velo del pregiudizio e con animo partecipe ha dunque come obiettivo di contribuire alla chiarezza decifrando i messaggi delle parti in causa e misurando il loro contributo, positivo o negativo, rispetto all’interesse generale dei cittadini, affinché non trionfino i nemici della democrazia e il voto popolare non sia distorto dalla demagogia, dalla prevalenza del danaro, dal dominio dei mezzi di comunicazione, da tutto ciò che possa insidiare e alterare l’autonoma e consapevole determinazione del popolo, sovrano almeno ogni cinque anni.
In quella preziosa occasione compete al popolo giudicare il consuntivo e valutare le proposte di preventivo. Decidere se i gruppi e le persone che ha delegato a governare in suo nome abbiano operato bene o male. Confermarli o sceglierne altri.
La democrazia non è altro che questo. Ma è molto per chi vuole vivere libero, aspiri alla felicità possibile per sé e per la generazione che seguirà.
Dovessimo compilare la graduatoria dei personaggi che tengono la scena di questi giorni dovremmo mettere (come sempre del resto) Berlusconi al primo posto, seguito a non molta distanza da Ruini, Casini, Montezemolo. Seguiti a una certa distanza da Rutelli e Bertinotti. Poi D’Alema e Fassino. Poi Prodi.
Poi Pezzotta. Gli altri, a destra al centro e a sinistra, nel gruppone.
Questa graduatoria non riguarda il merito di ciò che dicono e fanno, ma semplicemente la quantità e l’intensità delle loro pubbliche esternazioni e interventi politici. In ciascuno di loro ci vedi quel tanto di partigianeria che è inevitabile per chiunque parteggi. In alcuni essa è temperata da una visione più o meno organica del bene comune. Purtroppo non è il caso del presidente del Consiglio. La sua incapacità di concepire un sia pur generico disegno del bene comune è patologica, o meglio innata nella sua natura come è innato nello scorpione l’istinto di colpire col suo pungiglione ogni creatura che incontri sul suo cammino.
Berlusconi non sa quale sia il concetto stesso del bene comune. Infatti passa indifferentemente dall’antipolitica al politichese, dal liberismo al dirigismo, dal moderatismo alla radicalità, dall’ossequio verso l’establishment confindustriale alla lotta aperta contro, da Fini a Casini e viceversa. Detesta la magistratura (e questo è un punto fermo per lui). Vuole concentrare nelle sue mani tutto il potere possibile. Promette tutto il promettibile e anche più. Naturalmente non è in grado di mantenere quanto ha promesso anche perché spesso le sue promesse rasentano il favolistico e il miracoloso.
La sua vitalità è prorompente quanto la sua egolatria. Ha ridotto Follini ad un tappetino sul quale ormai si pulisce le scarpe quando rincasa. Adesso ha deciso di far approvare dalla maggioranza la legge elettorale, la riforma costituzionale, la “salva-Previti”. E naturalmente la Finanziaria proposta dal fantasista Tremonti.
Dopo due anni di sconquassi interni al centrodestra ha recuperato il dominio del suo campo. Sette vite come i gatti. Fini è diventato afono. Casini si è allineato. Ragazzo spazzola. Bossi aspetta defilato. E il popolo? “Se gratta” avrebbe detto Trilussa. Ma con delusione e rabbia.
Almeno così sembra.
Giorni fa Casini ricevette a Montecitorio un Follini triste, accorato, sconfitto nel suo stesso partito. Gli disse: “Se rompiamo e andiamo da soli alle elezioni avremo al massimo 18 deputati. Col proporzionale ne avremo una trentina e saremo noi a indicare i nomi. Poi, a elezioni fatte, si farà finalmente politica. Che si vinca o che si perda”.
Non so che cosa significhi “far politica” nel lessico del presidente della Camera. Temo che l’etica c’entri assai poco, come da tradizione storica del doroteismo del buon tempo andato. Anche Casini ha i suoi punti fermi. Il beneplacito del cardinale Ruini è uno di essi. La propensione a collocarsi al di sopra delle parti standone dentro fino al collo è un altro. Blandire l’opposizione quando sembra più forte e legnarla quando appare indebolita. A Follini vuol bene sinceramente. Quando il mare s’è messo a buriana l’ha gettato fuoribordo per alleggerire la zavorra. Però gli è dispiaciuto.
Anche la Confindustria si sta riposizionando. È interessante seguirne i movimenti perché è un pesce pilota e si imparano molte cose. Non muove molti voti ma funge da cartina di tornasole per segnalare gli umori dell’Italia produttiva e benestante. Più benestante che produttiva (ma la responsabilità non è mai la sua né dei suoi soci; è sempre di qualcun altro).
Nel centrosinistra molti pensarono, dall’elezione di Montezemolo in poi, d’aver acquistato un nuovo alleato. Ho scritto in tempi non sospetti che si trattava di un errore: la Confindustria non può identificarsi con una parte politica; quando l’ha fatto (con Alighiero De Michelis, col secondo Costa, con Giorgio Valerio e da ultimo con il D’Amato del convegno di Parma) è stata per lei una catastrofe.
La Confindustria deve difendere gli interessi degli industriali, questo è legittimo e utile. Non dovrebbe tuttavia pensare che quegli interessi coincidano interamente con quelli del paese. Invece purtroppo lo pensa e ci crede veramente. Si appoggia a parecchi luoghi comuni che fanno breccia tra gli ingenui.
Uno di essi, il più usato, è: prima bisogna produrre la ricchezza e poi si può pensare a redistribuirla. Sembra una verità assolutamente ovvia. Per cui ogni programma di ogni governo dovrebbe avere come base quell’elementare verità. Prima produrre poi distribuire.
È terribilmente simile alla questione dell’uovo e della gallina. Quale dei due viene prima dell’altro? Produrre e poi distribuire. Se camminiamo in fila in linea retta sai chi sta davanti a te e chi dietro di te, ma se camminiamo in circolo sei davanti e contemporaneamente dietro a ciascuno dei girotondisti.
Per produrre al massimo possibile e con i migliori risultati devi partire da una certa distribuzione delle risorse. Per esempio da un mercato sostenuto da un potere d’acquisto diffuso. Ecco un caso in cui la distribuzione è un prius e la nuova ricchezza prodotta viene dopo. Gran parte della “Teoria generale” di Keynes si basa su questa tesi sia per quanto riguarda la domanda sia l’efficienza marginale degli investimenti e il tasso dell’interesse.
La piena occupazione viene prima o dopo? Il salario è una variabile indipendente o lo è il profitto?
Si tratta, amici della Confindustria, di verità ideologiche e quindi relative e soggettive, non di verità assolute. Le decide il potere, non il mercato il quale può tranquillamente funzionare sia con un salario indipendente sia con un profitto indipendente. Statisticamente il capitalismo ha quasi sempre funzionato in presenza della seconda condizione, ma le sue crisi ricorrenti sono derivate proprio da lì.
Dunque Montezemolo deve mantenersi lontano dai protagonisti politici.
Ma di una cosa la Confindustria dovrebbe invece preoccuparsi moltissimo perché riguarda direttamente gli interessi dei suoi associati oltre che quelli di tutto il paese: dovrebbe opporsi con tutti i mezzi all’avvelenamento dei pozzi da parte degli attori della vicenda politica. Avvelenare i pozzi significa infatti rendere impossibile il funzionamento del sistema democratico.
In realtà questa è stata l’essenza del berlusconismo in questi cinque anni di governo: l’avvelenamento dei pozzi. Nella dilapidazione della pubblica finanza. Nella politica fiscale. Nello smantellamento della fiducia pubblica all’interno e all’estero. Nel conflitto d’interessi d’un capo di governo padrone e con la mentalità del padrone. Nel vilipendio sistematico della magistratura e nello smantellamento dell’ordinamento giudiziario.
Nell’indebolimento delle Autorità di garanzia.
Da ultimo “but not least” la riforma elettorale che costituisce l’avvelenamento dei pozzi definitivo, perché rimette in sella gli apparati dei partiti tagliando ogni comunicazione con la società civile e perché rende il paese tecnicamente ingovernabile più di quanto già non sia stato.
Ho invece sentito nel discorso di Montezemolo a Capri una bocciatura dell’attuale sistema maggioritario. Che cosa vuol dire? Un via libera a una riforma proporzionale? Qui non si tratta di giudicare in astratto, ma di valutare questa legge specifica con liste bloccate, tre soglie di sbarramento, un premio di coalizione che contenga la maggioranza al minimo possibile, la designazione del nuovo capo del governo fatta dai partiti a dispetto dei poteri costituzionali del Quirinale. Poteri di ricatto di partiti e partitini moltiplicati per cento rispetto alla già dolente situazione attuale. Questo è l’avvelenamento dei pozzi: l’ingovernabilità sancita per legge per contenere i danni della sconfitta temuta dal Cavaliere. Questo piace alla Confindustria?
Casini vuole anche lui e lavora per questo risultato che gli darà mano libera coi suoi trenta deputati. Mi dicono che a Capri sia stato applaudito per oltre due minuti.
Male, caro Cordero di Montezemolo. Non per gli applausi a Casini, che è uomo giovane bello e simpatico. Male perché avete capito – temo – molto poco di quanto sta accadendo.
Poi vi lamenterete perché la competitività scende. Ma rassicuratevi, non scenderà più perché siete arrivati in fondo alla classifica mondiale.
C’è una sola istituzione e una sola persona che adempie ai suoi doveri senza fare mai niente di più e niente di meno di quanto non gli sia assegnato dalla Costituzione e dalle leggi: il presidente della Repubblica. Nel generale marasma, se c’è un uomo e un’istituzione che tengano dritta la barra del timone, li troviamo al Quirinale. Quello è, lo scrivo ancora una volta, il punto di raccolta delle tantissime persone perbene e di buona volontà di questo paese.
Tempo fa fu pubblicata su questa pagina una vignetta del grande Altan che ancora ricordo per la sua incisività.
Diceva, l’omino da lui disegnato: “Ho voglia di vomitare, senza se e senza ma”. Farò una perifrasi più speranzosa: “Ho voglia che vinca l’Italia di Ciampi senza se e senza ma”. Me lo auguro di tutto cuore per tutti noi.