E sono nove. In corsa per la guida del Partito democratico. L?ultimo sfidante – arrivato
in piazza Santi Apostoli tre minuti prima che scada il tempo (le 9 di sera) per depositare
le firme – è Furio Colombo. I primi a consegnare lo scatolone con le sottoscrizioni (2.950)
e la dichiarazione d?intenti (alle 9 del mattino) sono i giovani volontari del comitato
per Walter Veltroni. Ma è una giornata di colpi di scena: al rush finale si presenta come
candidato segretario del Pd, Antonio Di Pietro. Il ministro delle Infrastrutture, ex pm
e leader di Italia dei valori prima nega, poi riunisce lo stato maggiore del suo partito,
infine a meno di un?ora dalla chiusura dei termini, invia una pattuglia di “diepietristi”
guidata da Leoluca Orlando a consegnare le 2.961 firme, ben più di quelle necessarie. «Il
Partito democratico è un?occasione per chiudere finalmente quel lungo periodo di transizione
iniziato con Mani pulite.
È un’occasione per mettersi in gioco – scrive nel documento consegnato
– Solo quando sarà costituito il nuovo partito allora Italia dei valori si scioglierà».
Del resto, neppure Ds e Margherita «si sono sciolti davvero».Sono Di Pietro e il leader
storico dei radicali Marco Pannella (che corre in ticket con Emma Bonino) a costituire
un “caso”. Per Piero Fassino e Francesco Rutelli, leader di Ds e Margherita, non possono
partecipare alle primarie del 14 ottobre per la segreteria del Pd. Una considerazione politica,
la loro. Ma anche tecnico-procedurale. Tant’è che il comitato a cui spetta valutare la
conformità delle candidature con il regolamento del Pd, si riunisce subito, ieri sera.
Alle 21 e un minuto, i sette “giudici” coordinati da Nico Stumpo verificano numero delle
firme e compatibilità. Su Pannella e Di Pietro pende una sentenza secca: sono leader di
altri partiti, non c?entrano con il processo costituente del Partito democratico a meno
che non sciolgano i loro movimenti. «stanno usando le primarie del Pd «come un tram». non
possono Anche Veltroni è stato chiaro: «Non si può stare in due partiti», ha detto il sindaco
di Roma e candidato favorito.Pannella, presentandosi nella storica sede dell’Ulivo, fa
un mini-comizio: «Non si possono avere due tessere? Ha ragione Veltroni, io ne ho cinque.
Adesso che c’è anche Di Pietro è un problema in più per loro che avevano già deciso di
farmi fuori. Ora che c’è Tonino non possono mica far fuori me e lui no». Parla di «una
contrarietà viscerale, noi radicali dobbiamo essere esorcizzati anche se veniamo a salvare
il centrosinistra dal disastro e dallo scoramento come è accaduto alle ultime elezioni».
Quindi, con Sergio Stanzani in carrozzella consegnano 2.823 firme impilate in uno scatolone
con la scritta “Documenda”. Tremila sono quelle consegnate da Rosy Bindi personalmente
alle 10 del mattino. La prima firma per Rosy è quella del ministro della Difesa, Arturo
Parisi. Altrettante ne ha raccolte Enrico Letta, il sottosegretario di Prodi, che però
le affida per la consegna a Umberto Ranieri, diessino presidente della commissione esteri
della Camera. Mario Adinolfi, il blogger e giornalista, di sottoscrizioni ne ha raccolte
2.314. Piergiorgio Gawronski candidato «contro la casta dei politici», economista, le 2.148
sottoscrizioni le porta con sé in una borsa di stoffa. Un altro outsider, il finanziere
Jacopo Gavazzoli Schettini ne porta 2. 278. All?appello si presenta anche Lucio Cangini,
ma di firme ne ha solo 701, sa quindi di essere escluso dalle primarue: «Sono contento
però di essere qui e di potere parlare del valore della montagna». Anche Amerigo Rutigliano
è già fuori, essendo fuori tempo massimo alla consegna. «È un approccio sconcertante, noi
per il Partito democratico ci abbiamo messo la vita e ora alcuni pensano alcuni di poterlo
usare come un tram», si sfoga Antonello Soro. Sia Soro della Margherita che Maurizio Migliavacca,
il coordinatore della segreteria Ds (entrambi nell?ufficio di presidenza del Pd) hanno
dato a Pannella e Di Pietro un ultimatum: se vogliono partecipare al Pd, sciolgano i loro
partiti.