BRUXELLES – La partita che si gioca tra le capitali europee sulla riforma del Patto di Stabilità potrà essere chiusa solo al vertice dei capi di governo, il 22 e 23 marzo. E´ questo il senso che si ricava dalla lunga nottata di dure trattative che ha impegnato ieri i dodici ministri delle finanze della zona euro, e che proseguirà oggi a venticinque. Non è neppure esclusa la convocazione di un´altra riunione straordinaria del Consiglio Ecofin proprio a ridosso del vertice. Ma è ormai chiaro che la questione ha assunto una tale rilevanza politica che nessuno dei capi di governo sembra disposto a lasciarne la soluzione ai propri ministri. Da Schroeder a Berlusconi, tutti sono decisi a gettare il proprio peso nella mischia.
Ieri, intanto, il presidente dell´Ecofin, il lussemburghese Jean- Claude Juncker, ha presentato ai ministri una bozza delle modifiche da apportare al Patto. Pochissimi sono i punti su cui non sembrano più esserci controversie.
Uno dei principi che appaiono condivisi è che i parametri di Maastricht, cioè il 3 per cento del deficit e il 60 per cento del debito, non verranno messi in discussione. Un altro punto su cui insiste la presidenza lussemburghese, spalleggiata dalla Commissione e dai partiti del «fronte del rigore», è che nessuna voce di spesa può essere sottratta in via preventiva dal calcolo dei deficit pubblici. Si potrà invece tenere conto di spese «virtuose», come per esempio gli stanziamenti per ricerca e sviluppo, i costi temporanei di una approfondita riforma dei sistemi previdenziali o altri investimenti produttivi, nel definire con qualche maggiore margine di elasticità i tempi e i modi del percorso di rientro da una situazione di deficit eccessivo: da uno a due anni. Il documento, tuttavia, mantiene il vincolo già esistente per ogni paese in deficit di ridurre il proprio fabbisogno di almeno mezzo punto percentuale annuo.
Ampia attenzione è riservata al problema del debito, che rappresenta il tallone d´Achille del governo italiano. «Il Consiglio considera che la Commissione debba esaminare il rispetto della disciplina di bilancio sulla base sia dei criteri di deficit sia di quelli del debito», è scritto nella proposta Juncker. Che insiste: «Il Consiglio concorda che si debba aumentare l´attenzione al debito e alla sostenibilità. Più alto il livello di debito di uno Stato membro, maggiore deve essere lo sforzo per ridurlo rapidamente».
Una innovazione rispetto al passato, che dovrebbe preoccupare particolarmente il governo italiano, è la menzione esplicita del fatto che «La Commissione può raccomandare al Consiglio di decidere sull´esistenza di una situazione di deficit eccessivo anche in caso di non rispetto del criterio del debito».
«Il Consiglio – dice ancora il documento – considera che la sorveglianza sul debito debba essere rafforzata chiarendo il concetto del “ritmo soddisfacente di riduzione verso il livello di riferimento” per quanto riguarda il rapporto debito-Pil». E´ vero che per ora non figurano nella bozza riferimenti quantitativi sulla riduzione del debito richiesta, né potrebbero esserci in quanto, come spiegato sopra, andranno definiti caso per caso.
Tuttavia Juncker propone di fissarli in un Regolamento, che ha valore vincolante, in cui si indichino «appropriati livelli di surplus primari», che dovrebbero quindi essere inevitabilmente quantificati.
Insomma per quanto riguarda la questione debito, destinata a penalizzare principalmente l´Italia, la bozza discussa ieri rimane ancora ambigua e il ministro Siniscalco dovrà penare non poco per evitare di farsi mettere in gabbia.
L´ammontare del debito figura anche tra i numerosi criteri dirimenti per concedere tempi più lunghi di rientro sotto il tetto del tre per cento di deficit ai paesi che lo avessero superato. E´ una battaglia, questa, particolarmente cara a Francia e Germania, che sembrano aver ottenuto margini di flessibilità ritagliati su misura per loro. Ma ancora una volta, con il debito più alto di tutta l´Unione, l´Italia rischia di vedersi negare quella elasticità che si potrà applicare invece ad altri paesi.
Come si è detto all´inizio, la partita resta in larga misura ancora tutta da giocare. E tuttavia una realtà, francamente preoccupante, sembra delinearsi fin da ora. Quali che siano le clausole e i codicilli che verranno messi a punto per il nuovo Patto nella sua versione definitiva, è evidente che la disciplina di bilancio sarà d´ora in poi un esercizio molto più politico e molto meno «burocratico», come lo ha sprezzantemente definito ieri il cancelliere Schroeder incontrando Chirac e sollecitando insieme al presidente francese ulteriori margini di flessibilità.
In altre parole i Paesi politicamente forti come Francia e Germania potranno sempre trovare, sia in Consiglio, sia forse già in Commissione, tutte le scappatoie formali per evitare sanzioni.
Quelli più piccoli (che ieri hanno criticato la bozza di Juncker) o, come è il caso dell´Italia, politicamente più deboli in seno al Consiglio e in seno alla Commissione, potranno essere invece penalizzati da una serie molto maggiore di norme interpretate per l´occasione in modo restrittivo.
Ancora una volta l´allentamento delle regole e degli automatismi, tanto sollecitato dal nostro governo in nome della lotta alle «pastoie» europee, rischia di trasformarsi in privilegio per alcuni e in una penalizzazione per altri. Con il nuovo Patto flessibile non basterà più essere nella moneta unica: sarà necessario esserci dalla parte “giusta”.