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27 Gennaio 2006

Passo indietro di quindici anni

Autore: Bernardo Valli
Fonte: la Repubblica
Un primo sguardo alla nuova mappa politica affiorata nella notte tra
mercoledì e giovedì dà l´impressione che il calendario sia arretrato di almeno
tre lustri, in quella sottile lingua di terra che appassiona il mondo con il suo
inarrestabile dramma. Un passo indietro di quindici anni ci riporta ai
primissimi anni Novanta, quando israeliani e palestinesi erano rinchiusi in un
dogmatico rifiuto che impediva un reciproco riconoscimento. Ad Al Fatah,
principale componente dell´Olp, che con gli accordi di Oslo (1993) riconobbe poi
lo Stato ebraico, il quale a sua volta riconobbe l´Olp, succede adesso al
governo del non ancora nato, né disegnato, Stato palestinese, un partito
islamico armato, Hamas, che prevede nel suo statuto, come un tempo l´Olp, la
distruzione di Israele.

E Israele esclude, come allora, di potere trattare con un governo dominato
da una formazione che si propone quell´obiettivo, e che negli ultimi cinque anni
ha rivendicato cinquantotto attentati terroristici, che hanno fatto centinaia di
vittime tra i civili israeliani. Non è un deludente, tragico, passo in
dietro?
Mercoledì sera, all´uscita dei seggi, dove aveva votato per il nuovo
Parlamento la stragrande maggioranza dei palestinesi, i primi sondaggi tra gli
elettori avevano anticipato un risultato rivelatosi la mattina dopo inesatto. I
palestinesi si erano addormentati convinti di avere vissuto un´importante svolta
politica: l´inedito ingresso di Hamas nel nuovo Parlamento con un forte numero
di eletti. E a loro volta gli israeliani si erano addormentati rassicurati dal
fatto che Al Fatah, pur perdendo il monopolio del potere, restava più forte di
Hamas. Al risveglio gli uni e gli altri hanno saputo del terremoto politico
avvenuto nella notte con lo spoglio dei voti reali. Hamas ha conquistato la
maggioranza dei seggi (76 su 132), distanziando ampiamente Al Fatah (ridotto a
soli 43).
Quindi Hamas formerà e dirigerà il nuovo governo. La democrazia ha portato
i terroristi al potere. Riassunta cosi la notizia provoca reazioni che vanno dal
rifiuto all´euforia. Pone problemi non solo politici. Come comportarsi in un
mondo afflitto dal cancro del terrorismo, quando un partito che lo pratica viene
legittimato dal voto? Israele ritorna in preda all´angoscia della sicurezza.
L´America ribadisce che si rispetta la democrazia ma non si tratta con i
terroristi che essa partorisce. L´Europa è meno intransigente, ma divisa e
incerta nei suoi giudizi, e si chiede a chi dare adesso gli aiuti destinati ai
palestinesi, se Hamas non può usufruirne, figurando nella lista nera delle
formazioni terroristiche. Nel mondo arabo si esulta e ci si interroga. E
adesso?
Anzitutto va spiegata la scelta dei palestinesi. Essi hanno abbandonato Al
Fatah non solo perché ha governato male, perché i suoi dirigenti erano corrotti
e arroganti. L´ha relegato in un angolo perché non ha saputo dare un contenuto
positivo ai suoi agitati, tormentati compromessi con Israele. L´occupazione
continua, e con essa le umiliazioni, i posti di blocco, le difficoltà di
muoversi da una città all´altra, i fili spinati, il difficile accesso al lavoro
in Israele, il miraggio sempre più lontano di uno Stato palestinese. La stessa
evacuazione di Gaza è avvenuta per iniziativa unilaterale di Ariel Sharon.
Mahmud Abbas (Abu Mazen) non è stato consultato.
E´ stato abbandonato a se stesso. La saggezza avrebbe dovuto spingere il
governo israeliano ad aiutare quel prezioso interlocutore, senz´altro fragile,
inefficace, ma dotato di un coraggio sufficiente per affrontare l´opposizione
della sua gente, pur di condurla, guidato dalla ragione, all´inevitabile dialogo
con Israele. Ma questo dialogo Israele non l´ha alimentato. E il peggio, Hamas,
ha vinto.
Hamas non ha comunque vinto le elezioni predicando la lotta armata e il
terrorismo. Ha vinto denunciando la corruzione e l´inefficienza di Al Fatah. Nel
manifesto elettorale, dal titolo Cambiamento e Riforma, si trattano argomenti
politici ed economici. Non si annuncia la nascita di uno Stato islamico, da
creare dopo la scomparsa di Israele, che invece è ben specificata nello statuto.
Come lo era nello statuto dell´Olp, prima che gli accordi di Oslo portassero via
via a una definitiva cancellazione. Hamas seguirà lo stesso percorso? Ma per
arrivare a questo bisogna percorrere il cammino tracciato dal generale Rabin. Il
quale trattò con i terroristi di allora. E per questo ricevette il Premio Nobel
(insieme a Peres e ad Arafat) e poi fu assassinato. Nel frattempo però il
terrorismo ha assunto proporzioni internazionali. Non ha più dimensioni
regionali. Dopo l´11 settembre è diventata una sfida mondiale. Il caso Hamas
assume dunque un altro valore. Trattare con Hamas diventerebbe un precedente.
Può essere considerato un cedimento pericoloso.
Da un anno Hamas non rivendica più attentati. Non è escluso che frange
estremiste ad esso affiliate siano gli autori delle ultime azioni terroristiche.
I responsabili potrebbero essere anche gruppi sciolti vicini ad Al Fatah. Partecipando alle elezioni legislative per la prima volta, Hamas ha comunque
accettato di entrare in un processo politico, e in un quadro istituzionale
creato dagli accordi di Oslo, che i suoi dirigenti hanno sempre rifiutato. E´ un
primo passo verso una revisione? Siamo per ora ben lontano da questo. I
portavoce di Hamas insistono in queste ore nel dire che entrare in Parlamento
non significa rinunciare alle armi. La situazione è dunque destinata restare
fosca, senza immediate vie d´uscita.
E´ difficile, per ora irrealistico, immaginare che il governo israeliano
possa avviare con un governo presieduto da Hamas quel dialogo che non ha mai
seriamente avviato neppure con Mahmud Abbas (Abu Mazen). Gli elettori, anche
quelli moderati, resterebbero perplessi di fronte a un´iniziativa del genere. Il
ricordo dei cinquantotto attentati rivendicati da Hamas resta vivo, bruciante,
alimenta l´angoscia della sicurezza che determina spesso i voti alle elezioni
legislative. E le prossime sono previste per marzo. La destra radicale,
rappresentata dal Likud, ha buoni argomenti per recuperare i voti virtuali che
Ariel Sharon aveva portato con sé abbandonando il partito. Il tema della
sicurezza agitato durante la campagna elettorale, di fronte a un governo
dominato da Hamas, rischia di ricondurre tutto indietro, appunto, di tre lustri:
a quel rifiuto che un giorno dovrà pur essere archiviato per sempre. Come, se
non trattando? Dice Amos Oz, il più grande scrittore israeliano, che a un finale
alla Shakespeare, dove la scena è cosparsa di cadaveri, è sempre preferibile un
finale alla Cecov, dove la scena è occupata da gente scontenta, perplessa, ma
viva.