Sul
far della notte, a Romano Prodi è tornata quella faccia sorridente da
curato di campagna che accompagna i suoi momenti fortunati. Pochi
attimi prima delle 23, a conclusione dell’ennesimo vertice dell’Ulivo
nella sede di piazza Santi Apostoli, il presidente del Consiglio è
sceso ed ha dispensato ai cronisti parole dense di prudenza, in
politichese: «Per il partito democratico, io ho fatto una proposta di
percorso tra le tante che si possono avere, poi le decisioni saranno
prese dagli organi di partito, successivamente». Parole dosate, ma poco
prima durante il vertice che aveva visti impegnati i dirigenti di punta
dei Ds e della Margherita, per la prima volta il chimerico partito
democratico era diventato una cosa molto concreta. In vista del
seminario di Orvieto (6-7 ottobre) i capi dei due partiti si erano
riuniti per decidere, una volta per tutte, che fare. E la decisione è
stata unanime: entro la prima metà del 2007 la Quercia e la Margherita
celebreranno in simultanea il loro ultimo congresso, di fatto si
scioglieranno in vista dell’assemblea costituente del nuovo partito, il
democratico, che dovrebbe tenersi nel corso del 2008. E a quel punto il
neonato partito democratico sarà pronto per il primo test nazionale, le
elezioni Europee del 2009.
E così, esattamente un anno dopo le Primarie, Romano Prodi (grazie
al decisivo appoggio dei ds Piero Fassino, Massimo D’Alema, dei dl
Francesco Rutelli, Franco Marini e Dario Franceschini) ha potuto
iniziare a pregustare un altro traguardo a suo modo storico, quel
partito progressista a vocazione maggioritaria che il centrosinistra
italiano non ha mai avuto. Quel partito democratico che, assieme alle
Primarie, da anni è stato una sorta di fissazione per Arturo Parisi, il
più ascoltato consigliere politico di Romano Prodi. Una svolta che era
stata preparata dai tre sherpa al lavoro da un mese (il ds Maurizio
Migliavacca, il dl Antonello Soro, il prodiano Mario Barbi) e che, come già accaduto per le tre liste unitarie
dell’Ulivo, era stata sottovalutata da tutti gli addetti ai lavori. Due
giorni fa l’annuncio della sinistra ds di disertare Orvieto – quasi un
preannuncio di scissione – aveva rianimato i tanti oppositori del
partito democratico. Ma Piero Fassino ha deciso di tirare dritto e nel
corso del vertice serale ha dato un sostanziale via libera al percorso
indicato dal premier, ma ha chiesto che «il seminario di Orvieto tracci
le linee-guida del processo e che poi siano i partiti a decidere
autonomamente date e percorso» verso il nuovo partito.
Un’impostazione sostanzialmente simile è stata indicata da Francesco
Rutelli e tutti assieme hanno anche concordato sulle altre proposte
avanzate da Prodi, in particolare quella che riguarda il manifesto del
nuovo partito: entro la fine dell’anno sarà preparato da un pool di esperti. Non è
stato invece deciso – e di questo si discuterà liberamente ad Orvieto e
poi ancora per mesi, forse per anni – come dovranno formarsi i gruppi
dirigenti del nuovo partito. Per cooptazione? Sulla base di un
congresso? Sulla base di un tesseramento ex novo? Trovando una formula
di compromesso tra cooptazione e “palingenesi”?
Proprio per dare una scossa a questo processo nei giorni scorsi
Romano Prodi aveva scritto una lettera di invito per Orvieto a tutto
gli eletti dell’Ulivo. E scriveva: «Sono persuaso che occorra innescare
e re-innescare un processo che investa sulla voglia di partecipazione
della nostra gente, un processo che, per ampiezza e profondità, si
ispiri alla grande esperienza delle Primarie». Liberate da una certa
patina di politichese, le parole di Prodi intendono dire che il nuovo
partito non potrà essere soltanto la somma dei due apparati, ma che le
iscrizioni dovranno essere aperte – e senza intoppi – anche al “popolo
delle Primarie”. Il vertice con Prodi era arrivato al termine di una
giornata durante la quale le voci del Transatlantico parlavano di ben
due scissioni dalla Quercia in caso di varo del “Pd”. La prima è quella
di cui il ministro Fabio Mussi, capo di quel che resta del Correntone
ds, nei giorni scorsi aveva parlato ai suoi compagni: «Se andranno avanti con il partito democratico, noi non ci saremo.
Ma non confluiremo certo in Rifondazione: la parola “sinistra” non
deve sparire». Ma ieri mattina Peppino Caldarola, ex direttore
dell’Unità, chiacchierava con alcuni deputati ds: «Guardate che se
pensano di far nascere il partito democratico in pochi mesi con un
referendum sommario tra favorevoli e contrari, immaginando una semplice
fusione degli apparati e glissando sulla collocazione internazionale
del “Pd”, io e tanti altri non ci saremo. E penseremo a dare una casa
ai socialisti di questo Paese».