2222
11 Febbraio 2005

Parisi: “L’Ulivo germogliò in San Petronio”

Autore: Federica Fantozzi
Fonte: l'Unità

«La genesi fu semplice. All’uscita dalla Messa domenicale a Piazza Maggiore. Non perché fossi stato ispirato dall”omelia del Vangelo. Piuttosto, perché avevo approfittato del silenzio per ragionare su qualcosa che avrei dovuto lasciare fuori». La genesi è quella dell’Ulivo, il nome della coalizione che portò Romano Prodi a Palazzo Chigi nel 1996 e che adesso racchiude il «nocciolo» della neo-battezzata Unione. A ripercorrere il filo che lega quella data di dieci anni fa all’oggi è Arturo Parisi, all’epoca «collega universitario e consigliere» di Prodi. Era il 5 febbraio del ‘95, subito dopo la scesa in campo del Professore. Il 13 seguì l’annuncio ufficiale che la corsa del candidato premier sarebbe avvenuta sotto il simbolo dell’Ulivo.

La sera, in via Gerusalemme, Parisi comunicò a Prodi l’intuizione avuta sulla soglia della chiesa di San Petronio: «Lui la condivise subito. E tradusse la mia riflessione in una scelta». Il nome nasceva dal «dibattito botanico» apertosi con l’introduzione del maggioritario: «Nel nuovo assetto politico c’erano alberi e cespugli».

L’«ombra» della Quercia era alta: «C’era l’esigenza di un altro albero. Mi resi conto di una cosa banale: la Quercia chiedeva un Ulivo». Simbolo di pace, pianta longeva e resistente, picassiana: perché quella? «La scelta della Quercia da parte del Pds nell’evidenziare un valore era stata costretta a riconoscerne  anche il limite. La necessità  di enfatizzare il valore della forza, della compattezza, della stabilità, era stata pagata con la accettazione di identificare il partito con un albero dai frutti così particolari da rischiare di apparire infecondo. Fosse solo dal punto simbolico mi apparve evidente che la Quercia andava integrata e superata».

Niente test né sondaggi: «Fu una cosa artigianale ma allo stesso tempo scientifica. Il punto su cui esitammo di più fu la dizione: Olivo o Ulivo». Fino a luglio i due termini coesistono. Poi, il primo sparisce: «Io dissi subito che per la pronuncia sarda, così stretta, era uguale..». La scelta avvenne su base statistica: il 70% della stampa scriveva Ulivo, e quello fu. Nessun altro nome in ballo: «Era ancora la fase propositiva-imprenditiva. Non c’era una struttura che potesse deliberare».

Tutto ebbe luogo in appena due settimane: «Ci aspettavamo le elezioni a giugno ‘95. Poi la vicenda del governo Dini cambiò lo scenario». Il progetto parisiano originario prevedeva che l’Ulivo rappresentasse «una parte», che il centro si affiancasse alla sinistra.

Come divenne il nome della coalizione? «Fu D’Alema il primo a dirlo: gli piacque molto e ci chiese perché non poteva diventare il simbolo di tutti».

L’11 marzo, nell’assemblea alla Sala Umberto che consacrò la leadership prodiana, D’Alema era in prima fila. Si alzò: «Professore, le conferiamo la forza del nostro partito». Ricorda Parisi: «Descrisse il progetto in modo plurale, non unitario: la Quercia, l’Ulivo, il Sole dei Verdi. Ma riconosceva la valenza simbolica di un segno comune e lo disse a Prodi. Io avevo perplessità : mi posi il problema che un segno botanico difficilmente può assorbirne un altro…».

A risolvere l’enigma fu l’«interazione» con la gente: «Alle nostre iniziative non veniva una parte ma tutti. Nel giro di un mese Prodi divenne il riferimento di un progetto condiviso di cui l’Ulivo era il segno». Già prima del viaggio in pullman, la «soluzione politica» arrivà dai fax: «Il nostro merito è aver ascoltato la gente. Esisteva una domanda in cui il nuovo era indistinguibile dall’unit e il simbolo la intercettava». I partiti erano accompagnati da un aggettivo che ne definiva l’identità organizzativa: «Nei movimenti degli anni ‘70 invece c’erano parole d’ordine, slogan che diventavano nomi: Lotta Continua, Comunione e Liberazione». Mentre la Quercia non era il nome dei Ds, «l’Ulivo fu presto pensato come nome. Progetto e soggetto erano la stessa cosa. Così cambiò il codice comunicativo».

Tante volte l’Ulivo fu dato per morto, ma sempre superò le gelate: «Intercetta una domanda attuale di unità . Ma è anche la affermazione di una novità che c’è: la testimonianza della esistenza di una gente nuova: il popolo dell’Ulivo. Sopravvissuto nei, fuori, contro, oltre i partiti. Un “noi” non riconducibile a composizioni e somme dell’esistente. Chiamiamolo “nonsoché”».

Nell’ottobre ‘98, quando l’esecutivo cadde per un voto di scarto, i prodiani dissero: l’Ulivo è morto, viva l’Ulivo. «Il contributo determinante per la sua sopravvivenza l’ha dato Cossiga. Ha preso sul serio la sfida che quel nome conteneva, al punto da dedicare la sua vita successiva a denigrarlo». E’ la storia della famosa «pregiudiziale anti-ulivista»: «Quando il governo cadde, lui disse che l’Ulivo era finito. Il tentativo di un Prodi-bis si chiuse con una sua dichiarazione firmata da Mastella: l’Udr, non si sarebbe mai aggiunto a quell’Ulivo». Il Professore rinunciò, e Cossiga entrò nel governo D’Alema. Parisi sorride: «Se Cossiga avesse detto: chiamatevi chiamiamoci pure come vi pare, ci avrebbe distrutto».

Di resurrezione in resurrezione, si arriva all’oggi: «Il problema è il rapporto tra Ulivo e Unione». Stessa iniziale, stessa grafica: «Evocare ma non ripetere».

C’è anche la rima. Prodi aveva gettato l’esca dell’Ulivone: «Una bella crasi». E’ l’evoluzione, non la fine, di un percorso iniziato 15 anni fa con l’esperienza del movimento per le riforme isituzionali: «I referendum per costruire le regole del bipolarismo, l’Ulivo per costruire il soggetto. Ora, dopo la rottura del ‘98, recuperiamo il progetto». Questo: «Per noi l’Ulivo è un progetto di riforma del Paese attraverso il governo, portato avanti dai partiti della coalizione e garantito da un patto stabile e organico tradotto ora in Federazione ma aperto perché pensato per tutta la coalizione. Aperto anche alla società e ad altre formazioni». Tre i tratti: unità , novità , apertura.

L’Unione non è «una resa al dualismo» che Parisi ha sempre avversato: dallo schema Pds-Popolari, al «doppiogambismo», alla contrapposizione radicali-moderati. Dunque: «la tensione e la speranza che in futuro, in un processo lungo, Ulivo e Unione possano coincidere». Un processo «nel quale per quelli che hanno condiviso la mia strada la Margherita e i Democratici sono passaggi intermedi». Un processo «che per ognuno è guidato da un sogno: per alcuni del partito unico dei riformisti. Per altri come me ancora dal progetto

dell’Ulivo, un altro modo di chiamare quello è ancora per molti il partito democratico». Un sogno ambizioso, professore. «Ma noi conserviamo ancora nei nostri cassetti le magliette che stampammo nei tempi duri: “Testardi Dentro”».