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8 Marzo 2007

Parisi e “il compare” uniti nell’eterna lotta contro Dc e Pci

Fonte: Il Foglio

Roma. “E’ una vita che cerco di distruggere la Dc e il Pci, e ora li vedo risorgere nel Partito democratico”. Così risponde Arturo Parisi, quando risponde, a chi gli do-manda la ragione del suo malumore. Da tempo il professore sardo appare isolato e sempre più insofferente a chi gli sta vicino. Anche per questo .si dice abbia vissuto co-me un’autentica liberazione lo scioglimento della sua corrente, una volta trovato l’accordo con Francesco Rutelli sulla mozione unitaria per il congresso della Margherita. Di questi tempi l’idea di non dover più perdere tempo in tante inutili discussioni pare sia stato il suo solo motivo di gioia.


“Meglio perdere che perdersi” è sempre stato il motto dei padre dell’Ulivo, sin da quel terribile ottobre del ‘98, in cui Parisi fu tra i più convinti sostenitori della necessità di andare alla conta senza chiedere i voti di Francesco Cossiga. Occorreva farlo, va da sé, per non tradire “lo spirito dell’Ulivo”, che nel lessico parisiano è sempre sinonimo di “spirito del maggioritario”. Ma forse, a volte, quando le aborrite liturgie di partito gli danno un senso di soffocamento prossimo all’allergia – con tutte quelle interminabili riunioni in cui s’immerge con lo spirito di un missionario tra i lebbrosi – pensa invece che sia meglio i. perdere e basta, pur di perdersi di vista. La vita di partito non fa per lui: passare in rassegna i fedelissimi è un rito che raramente lo esalta, e assai spesso lo deprime. Tanto più ora che vede compiersi la sua nemesi. Il Partito democratico per cui si batte da oltre un decennio portato a compimento dai suoi principali nemici: Massimo D’Alema e Franco Marini. Il morto che afferra il vivo. La partitocrazia che s’impossessa della sua creatura. Quell’Ulivo che il professor Parisi aveva piantato nel lontano 1995. Per un solo motivo, ovvio: “Distruggere Dc e Pci”.


Nella cupa notte dell’ulivismo brilla ora-mai un’unica stella. La stella polare di sempre: il referendum maggioritario. Ancora una volta, come già negli anni Novanta, con Mario Segni e tanti altri. Per Arturo Parisi è l’ultima carica nella battaglia di una vita.


E pazienza, dunque, se nell’assalto si troverà fianco a fianco con quel Walter Veltroni che a cena, all’indomani della caduta del ’98, si era detto pronto a sostenere Prodi nella richiesta di elezioni anticipate, esortandoli ad andare avanti. Pronto, se necessario, persino a spaccare i Ds. Per poi spingere Massimo D’Alema a Palazzo Chigi prendendone il posto alla guida dei Ds Nessuno toglierà mai dalla testa di Arturo Parisi che le  cose siano andate esattamente così, nel grande complotto ordito da Marini e D’Alema contro Prodi. E quel che i peggio, molto peggio: contro lo spirito dell’Ulivo. Per salvare il Partito democratico l’Italia dalla cappa di un nuovo compromesso storico, Veltroni è dunque il benvenuto. Persino lui. Quel Veltroni che dal ‘98 in poi, lontano dai giornalisti, Parisi aveva preso l’abitudine di nominare semplicemente come “il compare”.


Inutile chiedersi quanto sia autentica rottura e quanto gioco delle parti, tra Prodi e Parisi, in merito alle riforme elettorali all’eventualità – fatta balenare dal presidente del Consiglio – di far saltare la consultazione referendaria in caso di accordo tra i partiti. Inutile fare l’esegesi di tutti gi attacchi venuti a Prodi, in queste settimane, da Gad Lerner o da Salvatore Vassallo, che sul Corriere della Sera era arrivato persino a ipotizzare un governo tecnico, pur di salvare il bipolarismo. Nonostante le molte interpretazioni di segno opposto apparse sui giornali all’indomani dell’intervento di Giuliano Amato sulle “maggioranze variabili”, si direbbe che sia proprio i ministro dell’Interno, oggi, il primo alleati di Prodi. Alleato forse è una parola grossi ma i due sembrano comunque giocare d sponda. E dati gli ottimi rapporti di Amati con gli ulivisti – dinanzi a una nuova crisi del governo, per stoppare Marini, sarebbe lui i1 loro candidato – per la proprietà transitiva se ne potrebbe dedurre che la rottura tra Prodi e Parisi è più tattica che strategica. Ma queste sono appunto domande oziose. Meno ozioso sarebbe invece domandarsi quanto strategica sia la convergenza tra Parisi e Veltroni.


E’ un fatto che sul referendum i due marciano e colpiscono uniti. Il primo mobilitando, come si è visto, l’intera intellettualità ulivista. Il secondo richiamando tutte le forze che fanno riferimento a lui, a cominciare dai Ds laziali di Nicola Zingaretti, come martedì ha notato l’Indipendente, aprendo con la notizia dell’ingresso nel comitato referendario di Simone Silvi, responsabile regionale per la Comunicazione e persona di fiducia del segretario. E se Veltroni giura di non essere mai stato comunista, Parisi è stato un democristiano – se mai lo è stato davvero – perlomeno atipico. Nel luglio dell’anno scorso, intervistato dal Magazine del Corriere della Sera, confessò: “Ho votato di tutto. La sinistra Dc, il Psi, il Psiup, il Pci. Nel 1972 votai il Movimento politico dei lavoratori”. 

Come abbia fatto Parisi a votare “
la sinistra Dc” senza votare semplicemente per la Dc, natural-mente, rimane un mistero. Ma in questa ritrosia non c’è l’ansia di cancellare il passato né ombra d’ipocrisia, perché Arturo Parisi la Dc e il Pci li ha sempre voluti distruggere, anche quando li votava. Professore di Sociologia della politica, il suo modello di “democrazia governante” prevede due soli partiti-coalizione, maggioritario e alternanza. Ed è per questo che Dc e Pci, ostacoli insormontabili a una simile evoluzione, vanno distrutti. La battaglia di una vita, condotta da destra e da sinistra, anche all’interno del partito cattolico. Una missione e una vocazione. Un impegno totalizzante. Tanto che oggi, probabilmente, se qualcuno gli domandasse in quale dei due partiti-coalizione da lui immaginati collocherebbe se stesso – se in quello progressista o in quello conservatore – lo stesso Parisi, dopo tanti anni passati in trincea, potrebbe sorprendersi ad ammettere di non ricordarselo più.