Una campagna elettorale
estenuante, ma povera di idee e di speranze, ha obbligato una percentuale
altissima di elettori a delegare tutto ai partiti. Uomini e idee sono scomparsi:
il rapporto del candidato con il territorio è stato annullato e il confronto
elettorale si è trasferito dalla base del paese al livello mediatico.
Una pessima
legge elettorale, voluta da una maggioranza timorosa di perdere, ha portato il
Paese al peggior meccanismo di formazione della rappresentanza che la storia
della Repubblica abbia mai conosciuto.
La risposta della opposizione di
centrosinistra non è stata esaltante. Ha reagito con stupore alla sorpresa di
non vedersi premiata come pensava; ma in realtà non ha opposto alla nuova legge
elettorale nessuna iniziativa di partecipazione popolare nella formazione delle
liste; è rimasta ingessata in un enciclopedico programma, voluto come un patto
di fedeltà tra le sue varie e discordi componenti, più che come una proposta al
Paese. È stata così costretta a giocare tutta la campagna in difesa piuttosto
che all´attacco.
È mancato ogni serio confronto culturale fra le tanto decantate
tradizioni riformatrici che avrebbero dovuto innervare il centrosinistra. Il
rapporto fra quelle diverse componenti si è trasformato in concorrenza appena
velata dalla lista unitaria alla Camera.
Si insiste tanto sul Paese spaccato in
due: ma la spaccatura è in gran parte legata proprio alla presenza della figura
di Berlusconi, oggetto di smisurati sentimenti di amore e di odio. La
polarizzazione su Berlusconi è stata molto più decisiva di quella su un
centrosinistra privo di forte identità. Perciò nessun dialogo sarà possibile fra
i due schieramenti che veda comunque partecipe Berlusconi: la sua uscita di
scena è la condizione di qualsiasi tentativo di ampliamento della maggioranza
parlamentare.
Romano Prodi ha una grande occasione: dopo una non felice campagna
elettorale, può essere l´uomo giusto non solo per un´opera di risanamento
economico, ma anche per stemperare risentimenti e rancori e spingere le due
mezze Italie a riavvicinarsi e a riscoprire problemi ed esigenze comuni.
Solo la
formazione di un governo libero da troppi condizionamenti partitici renderà
possibile una politica per l´unità. L´iniziativa del governo conta più di quella
dei partiti.
Non si parli di partito democratico finché non sia definito un
programma operativo per la sua nascita che implichi un profondo coinvolgimento
di un elettorato stanco di promesse non mantenute.
Non si possono fare il nuovo
governo e il partito democratico come si sono fatte le liste elettorali. Sotto
gli aspetti politici della crisi, incerti e preoccupanti, che fanno temere un
ritorno alle più logore pagine di un recente passato invece che una nuova pagina
della storia italiana, c´è una realtà più profonda alla quale i partiti sembrano
estranei. Berlusconi è uscito di scena, ma una antica e radicata mentalità che
ha reso possibile il suo successo, che si è riconosciuta ed esaltata in lui non
è scomparsa. L´ha riassunta efficacemente il premier uscente quando ha definito
con un´espressione volgare coloro che non votano per il loro immediato
interesse.
Questa realtà esiste nel Paese: l´ha ben descritta Ezio Mauro in un
suo editoriale all´indomani delle elezioni; è una realtà che ha radici profonde
nella storia italiana. Ma è un errore e una semplificazione immaginarla come una
somma definita di persone, come una metà stabile del Paese.
La realtà è molto
più complessa: le stesse persone rispondono diversamente a seconda di come sono
chiamate; e il compito della grande politica è quello di “chiamare” l´elettorato
e non di seguirne passivamente gli stati d´animo, le paure, le fobie.
Compito
della politica è quello di trarre il meglio dalla realtà del Paese, di lasciarlo
esprimere liberamente e di interpretarlo ma anche di chiamarlo appunto verso
obiettivi in cui possa riconoscersi: così l´Italia è stata ricostruita dopo la
tragedia della guerra voluta dal fascismo.
Diciamo allora con chiarezza che gli
elettori italiani non sono stati chiamati: l´enciclopedico programma non poteva
entusiasmarli; l´Unione non aveva una sua fisionomia definita; i suoi leader
sono stati troppi e poco credibili.
Perché il centrosinistra ha vinto nelle
elezioni regionali, nelle stesse regioni in cui ha perso domenica scorsa? Queste
elezioni vinte a stento possono diventare un punto di partenza. C´è un tessuto
morale da ricostruire nel Paese. Una esigenza di fronte alla quale la politica
deve riconoscere il suo limite, la sua impotenza e al tempo stesso le sue
responsabilità e oggi le sue colpe: si è fomentato l´odio per la persona e si è
persa l´occasione storica di fare della campagna elettorale una campagna per i
valori che il berlusconismo negava.
Un Paese in cui fosse davvero prevalente e
dominante la mentalità che Berlusconi ha esaltato sarebbe un Paese in cui la
democrazia non potrebbe affrontare le nuove sfide della storia del nostro tempo.
La democrazia, tanto più nelle società ricche, ha bisogno invece di cultura e di
forti tensioni ideali, di tanti voti non ispirati alla logica del portafoglio.
Per ricuperare occorre un ripensamento più profondo e l´impegno di tutte le
agenzie che nel Paese contribuiscono alla formazione del tessuto etico, della
cultura, della solidarietà.
La Chiesa italiana non può limitarsi a richiamare i
pur grandi principi che interessano i valori della vita e della famiglia, ma
deve avvertire, a me sembra, l´urgenza di contribuire a ricreare nel Paese un
tessuto di valori di convivenza civile, di legalità.
E´ impensabile che i valori
“non negoziabili” su cui tanto la Chiesa insiste trovino ascolto in una società
logorata dalla logica di un esasperato individualismo. Una grande occasione sarà
offerta dal referendum sulla riforma della Costituzione voluta da Berlusconi e
da Bossi. Bisogna trasformare il “no” deciso a quella riforma, che rappresenta
come ha notato Leopoldo Elia una “aggressione” alla Costituzione del ´47, in
occasione per ristabilire un dialogo e per far comprendere a tutto il Paese
quali sono i fondamenti della sua unità.
Certo non si ricrea artificialmente il
clima storico in cui la Costituzione è nata; non si tratta nemmeno di negare
l´esigenza di alcune riforme; ma si può fare della campagna per il no una grande
occasione per un risveglio morale e una riunificazione del Paese.