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22 Luglio 2008

Opposizione vuole dire

Autore: Gianfranco Pasquino
Fonte: L'Unità

L’opposizione del Partito Democratico e quella dell’Italia dei Valori
debbono ragionare, senza farsi illusioni, come se il governo di destra
durasse per tutta la legislatura. Debbono anche non trascurare le
ambizioni del presidente del Consiglio di essere eletto, appena
possibile, al Quirinale. In special modo, nessuna illusione deve essere
nutrita sulle probabilità che la Lega metta in crisi il governo al
quale partecipa con ministri in posizione di rilievo. Lo «scambio» fra
Popolo delle Libertà e Lega, con la riforma della giustizia che
procederà in una camera mentre, in contemporanea, nell’altra camera si
farà strada il federalismo, fiscale e più, deve essere criticato non in
quanto scambio, ma per i contenuti, anticipati e prevedibili, della
riforma-addomesticamento della giustizia e per i meno prevedibili e i
meno noti meccanismi del federalismo che, incidentalmente, dovrà essere
accompagnato quantomeno dalla riforma del bicameralismo. È giusto che
le opposizioni si propongano di evidenziare e di approfondire le, molto
eventuali, contraddizioni all’interno della maggioranza di governo.

Qualsiasi
spazio si apra in Parlamento deve essere sfruttato, ma quel che più
conta è il collegamento fra la battaglia parlamentare, quotidiana e di
lungo corso, e l’opinione pubblica, proprio nella prospettiva del
completamento dei cinque anni di legislatura. In un certo senso,
l’operazione da condurre, che può passare attraverso anche
manifestazioni tipo Piazza Navona, è in senso lato, ma molto concreto,
pedagogico- culturale.

Negli oramai quindici anni trascorsi dal
crollo del sistema partitico, dalla comparsa di nuovi attori politici e
dalla trasformazione dei vecchi, le forze sociali e economiche si sono
dislocate in maniera prima del tutto imprevista dalla sinistra, poi
sottovalutata nella sua durata e nella sua intensità. Tutti (o quasi)
hanno constatato la comparsa di elementi corposi di demagogia e di
populismo, nonché di egoismo delle diverse categorie, elementi che
erano stati, bene o male, tenuti sotto controllo, seppure in maniera
diversa, ma non debellati, dalla Democrazia Cristiana e dal Partito
Comunista. Affascinati oppure accecati dalla tesi della “società
liquida”, pochi hanno provato ad esaminare le vittorie elettorali della
destra, non soltanto nelle regioni del Nord, come il prodotto della
comparsa di un nuovo blocco sociale al quale la figura
dell’imprenditore Silvio Berlusconi dà espressione e la carica di
Presidente del Consiglio offre la necessaria e desiderata traduzione
governativa. Allora, le contraddizioni da evidenziare e da approfondire
è meglio cercarle nel composito, ma non per questo meno solido, blocco
sociale della destra, piuttosto che nella sua rappresentanza
parlamentare. Questo blocco sociale non sembra particolarmente
interessato alle tematiche etiche e dei valori, tantomeno inquietato
dagli sfregi che Bossi e troppi berluscones infliggono alla Nazione e
alle istituzioni.

D’altronde, tutte le statistiche internazionali
segnalano che è l’Italia nel suo complesso a non avere alti standard di
moralità accompagnati da un’alta incidenza di corruzione. E Nando Dalla
Chiesa ha fatto benissimo a ricordare sulle pagine de “l’Unità” che
sono molti, forse già troppi, i casi nei quali anche la sinistra è
colpevole di non avere tenuto alta la guardia nei confronti della
corruzione e di avere lasciato che circolino al suo interno anche non
marginali episodi di conflitto di interessi. La corruzione e il
conflitto di interessi sono da combattere “senza se e senza ma”, magari
anche evitando di mostrare eccessivo compiacimento per quanto onesta,
seria, eticamente superiore sia la sinistra, ma per disarticolare il
blocco sociale della destra ci vuole altro. L’attenzione deve essere
indirizzata in maniera mirata a quello che il governo promette e a
quello che fa, non fa, fa male per l’economia e per il welfare.

Non
entro nei dettagli che economisti e sociologi autorevoli hanno già
variamente criticato, ma qui stanno per l’appunto le contraddizioni.
Agli occhi dei componenti del blocco sociale della destra bisogna fare
vedere e provare che la crescita del paese, e quindi del loro
fatturato, presente e futuro, non è affatto dietro l’angolo (come
pensava e plaudiva la Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia),
che la competitività del paese non sarà possibile senza investimenti
nell’ istruzione e nella ricerca, spese che, invece, il governo
Berlusconi taglia, che tagliare la spesa pubblica (e magari anche i
costi della politica) è auspicabile nella prospettiva di investire
quanto si risparmia, che, infine, il pubblico, tanto deprecato dalla
maggior parte dei componenti del blocco sociale della destra, può anche
essere ridimensionato, ma l’obiettivo deve essere molto più ambizioso:
renderlo efficiente. Aggiungerei, ad uso di coloro, soprattutto al
Nord, che pensano, una volta conseguito il federalismo fiscale, di
potere fare a meno di una politica nazionale, che siamo e continueremo
ad essere nella stessa barca.

Predicare tutto questo sarà
difficile; farlo è indispensabile. L’opposizione ha qualche probabilità
di disarticolare il blocco sociale della destra confrontandosi con le
proposte del governo e con le aspettative dei settori sociali che lo
hanno ripetutamente sostenuto per quindici lunghi anni. Mostrare
capacità di comprensione dei problemi e proporre soluzioni capaci di
combinare la ristrutturazione del settore pubblico con la crescita e
con l’efficienza sono le due leve con le quali sarà possibile
disarticolare il blocco sociale della destra.