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10 Maggio 2006

Oltre i sospetti

Autore: Luigi La Spina
Fonte: la Stampa

PUÒ essere la prima, positiva svolta della legislatura. Dopo un inizio all’insegna dei rancori postelettorali, di una vittoria risicata e negata, di battaglie parlamentari sul filo dei «franceschi tiratori», la classe politica italiana sembra essersi resa conto che l’Italia non può aspettare che si consumi una faida politica infinita, all’insegna delle reciproche debolezze. L’apertura della «Casa delle libertà» al candidato dell’Unione, con la scelta di votare scheda bianca, per saggiare la saldezza della candidatura Napolitano tra le file della maggioranza, non solo potrebbe favorire un ampio consenso al successore di Ciampi tra le mura del Quirinale, ma potrebbe indicare, in occasione del più importante appuntamento elettorale del Parlamento, una vera e propria inversione di rotta nel clima politico.

E’ vero che le incognite sono ancora numerose e che la storia della Repubblica ci ha insegnato a non scambiare le promesse, le intenzioni, le garanzie con una realtà che dev’essere misurata solo sui fatti e sui numeri. La prova del voto per Napolitano non sarà esente da rischi e la valanga dei sospetti incrociati sotto la quale si è aperta la partita del Quirinale potrebbe portare ad esiti imprevedibili. Eppure, la giornata di ieri permette di cogliere, con qualche ottimismo, il duplice segnale arrivato prima dal centrosinistra che, con la mossa della scheda bianca, ha mostrato la volontà di non offrire al gioco del cecchinaggio parlamentare la sua candidatura. Una scelta che ha convinto l’opposizione della sostanziale unità e convinzione dello schieramento di maggioranza nell’appoggio a Napolitano. Ma anche di registrare, con l’attenzione che merita, la disponibilità della «Casa delle libertà» a prendere atto dei numeri, a non infilarsi in un muro contro muro che potrebbe portarla a una nuova sconfitta numerica, ad accontentarsi di poter rivendicare lo stop all’elezione di D’Alema, nascondendo nell’ufficialità pubblica il sostegno privato di molti, influenti tifosi del presidente Ds che pur militano in quello schieramento.

La risicata vittoria del centrosinistra nel voto del 9 e 10 aprile, in una situazione economica molto difficile per il Paese, avrebbe potuto e forse dovuto portare a un diverso inizio di legislatura, improntato alla prevalenza delle due anime «moderate» delle coalizioni che si sono scontrate alle elezioni rispetto a quelle più radicali. Se Berlusconi avesse riconosciuto subito, sia pur con comprensibile amarezza, la vittoria di Prodi e l’Unione avesse proposto una diversa spartizione delle presidenze parlamentari, le attese degli italiani avrebbero avuto maggiori conforti.

La spaccatura politica dell’Italia avrebbe potuto offrire l’opportunità di concedere all’opposizione la presidenza della Camera, dove Prodi può contare su un sufficiente margine di maggioranza. Al Senato, una guida da parte di un rappresentante dell’Unione avrebbe costituito la garanzia di una navigazione governativa difficile, ma non impossibile. L’intesa avrebbe avuto il suggello della ricerca di un Presidente della Repubblica in una rosa di personalità che potesse assicurare tutto il Parlamento e tutto il Paese.Così non è andata e certamente la storia, neanche quella della politica, si fa con i «se» e con i rimpianti di quello che poteva avvenire e non è avvenuto. Non è proibito però riflettere sul passato, anche quello recente, e non è proibito neppure pensare che sia possibile imboccare una strada diversa.

Pensare che Berlusconi rinunci a tentare una rivincita immediata, peraltro improbabile, a suon di trabocchetti parlamentari e men che meno al suono, paraeversivo, di inviti all’evasione fiscale. Sperando di dimostrare, invece, come l’efficacia dell’azione governativa del suo successore a Palazzo Chigi si riveli debole e insufficiente rispetto alle necessità del Paese. Questa presa di coscienza potrebbe favorire, peraltro, il rafforzamento della voce riformista nel coro polifonico degli alleati di Prodi. Una voce che, finora, è apparsa troppo timida e quasi rassegnata all’inevitabilità di acconciarsi ai «tempi di ferro» che si annunciano. Tempi che inevitabilmente favoriscono la radicalizzazione delle posizioni sulle ali più estreme.

Ancora una volta sembra funzionare in Italia quella trappola massimalistica che ha contrassegnato non solo la storia della nostra sinistra, ma anche quella della nostra destra. La prima, da Crispi ai «marxisti immaginari» del Novecento, la seconda, dai cannoni di Bava Beccaris al dramma del fascismo. Paragoni incongrui, tentazioni impossibili, ma lezioni storiche che non si sono esaurite sui libri scolastici. E’ possibile che un confronto politico non si trasformi in un accordo trasformistico? Se l’elezione di Napolitano, già oggi, lo dimostrasse, il vantaggio sarebbe duplice: quello di portare al Quirinale una persona della quale si possono non condividere le idee politiche, ma che darebbe la garanzia di un esercizio corretto, scrupoloso e nobilmente democratico del compito affidatogli. Ma anche quello di verificare se le strade non sono sempre obbligate e si può avere il coraggio di cambiarle.