«NIENTE, niente Gianni, niente…». A Fassino è meglio non dire niente, raccomanda il tesoriere dei diesse Ugo Sposetti, nipote di uno dei caduti sessant´anni fa nell´eccidio di Montalto ed ex sindaco decisionista di Bassano in Teverina. Lo raccomanda a Gianni Consorte che gli annuncia il 6 luglio «la più bella operazione fatta in Italia negli ultimi 15 anni».
È il “via libera” all´Opa Unipol su Bnl. Ma perché Fassino non deve sapere, o, al massimo, può sapere “senza dettagli”?
Ecco nella conversazione di due “compagni” del secondo millennio la prova, registrata sui nastri delle intercettazioni telefoniche, della fatica, quasi del supplizio, di coniugare a sinistra finanza e politica, potere e denaro, etica e battaglie elettorali, interessi privati – che a quel che sembra Consorte non trascurava – e dedizione alla causa.
Nuova finanza e vecchia politica dietro i guai di Consorte
Perché Fassino deve sapere il meno possibile? Perché – ipotesi numero uno, ma da educande – è meglio che il segretario politico venga lasciato fuori dalle tecnicalità di un´operazione che muoverà miliardi di euro, che richiederà ancora spregiudicatezza, accordi trasversali, se occorre manipolazione di autorità preposte ai controlli, complicità con banchieri rampanti o felloni e con prestanome dalle origini incerte, quando non evidentemente fangose. Ma siccome a pensar bene si sbaglia quasi sempre, si può pensar male e – ipotesi numero due, ma altrettanto minimale – il segretario non deve sapere più di tanto perché la pratica spetta non a lui, ma, come dicono in molti, al presidente D´Alema, l´uomo che, quando fu a palazzo Chigi, s´impegnò con lucidità e determinazione alla ricerca di
alternative credibili a un capitalismo decrepito, morente o già morto insieme ai suoi secolari esponenti. Sbagliò cavalli? Può darsi, anche se Colaninno, leader della madre di tutte le privatizzazioni, la Telecom, si fa onore un lustro dopo in attività produttive degne di tutto rispetto.
O, se vogliamo, terza e più solida ipotesi. La politica conta sempre meno, la nuova finanza trasversale ha preso il controllo, ha il sopravvento. Non più laici, rossi o bianchi. Affaristi. Non c´è bisogno, al momento, che Fassino sappia tutto perché la filiera Banca d´Italia, banchiere di riferimento, immobiliaristi, “capitani coraggiosi” ed epigoni è ormai autoreferenziale. La politica è un utile apparato di sostegno, soprattutto quando non s´impiccia troppo. I politici sono sì indispensabili doganieri, ma doganieri che si comprano con un pezzo di pane. Non è forse stato così con la Lega? E´ bastato salvare dal crac con i due soldi messi da Fiorani la
loro banchetta riciclatrice di denaro d´incerta provenienza e d´incerta destinazione, per farne fedelissimi lobbisti. E poi i Brancher, i Grillo, gli Ascierto, le decine di parlamentari di destra «a disposizione» per i progetti del nascente capitalismo straccione e, a stare ai fatti già noti, piuttosto truffaldino.
Il profilo di Consorte è ormai affidato alle gesta di cui di giorno in giorno si ha notizia. Ma Sposetti, l´uomo delle finanze diessine, il risanatore delle disastrate casse del Bottegone? Com´è possibile che parli con Consorte come se il suo referente fosse il Bonaparte dell´Unipol e non il segretario del suo partito? Una volta gli scappò una frase del tipo «Noi dell´Unipol». Ma non si può inchiodare nessuno a una battuta. Il tosto marchigiano originario di Tolentino, che da sindaco ha risanato il borgo medievale di Bassano in Teverina, nel Viterbese, e ha fatto anche il sottosegretario alle Finanze, è di sicuro un benemerito del suo partito. Ma
quanto deve a Consorte?
I bilanci parlano chiaro, o almeno di questo siamo convinti. Il Bottegone aveva da ripianare qualcosa come mille miliardi di lire di debiti. Oggi, se non andiamo errati, il debito consolidato del Botteghino è di 160 milioni di euro o poco più, con un abbattimento di 400 milioni. La Beta Immobiliare è in utile per oltre 46 milioni e persino l´”Unità” produce qualcosa.
Nell´opera finanziariamente ciclopica si sa che i diesse sono stati aiutati da Cesare Geronzi, gran capo di Capitalia e oggi nemico giurato di Fazio e della sua filiera di furbetti. Sposetti ha lavorato bene anche da solo con la campagna «Io ci credo», per finanziare le spese elettorali, con i contributi dei parlamentari, con gli sponsor alle feste dell´ “Unità”. Ma basta? Lui ha preso sicurezza, ha spiegato che il problema dei soldi alla politica non è una questione di bottega, ma di democrazia, che persegue etica e umiltà nell´impegno, ma che per occuparsi di denaro, che non è più sterco del diavolo, ci vogliono persone “sempre più specializzate e professionali”. Ha gonfiato la sua squadra, qualcuno pensa che rimpianga il Bottegone pesante rispetto al Botteghino leggero, ora che i conti vanno meglio, molto meglio.
Al punto che si è messo a polemizzare direttamente col capo della sua coalizione. Quando i tesorieri di Prodi hanno protestato per gli scarsi contributi, lui ha latrato: «Prodi dica ai suoi cani di smettere di abbaiare». Prodi gli ha spedito uno stock di cani di cioccolata.
Incidente chiuso, ma non tanto. Perché Rutelli – lamenta il tesoriere – lavora contro Consorte, ha chiesto anche a Marrazzo, presidente del Lazio, di schierarsi contro il benefattore delle cooperative.
Folclore, scene da un matrimonio litigioso, nel quale Sposetti fa il ruolo del marito di braccio corto, un po´ tirchio, prudente rispetto alla rissa che sarà tra i partiti dell´Unione per le candidature alle politiche di aprile.
Ma perché Fassino non deve sapere? «Niente, niente Gianni niente». Perché via Stalingrado conta ormai troppo sul Botteghino dai conti risanati? Perché il Cuccia di sinistra, che si faceva i suoi affari coi soldi di Fiorani, fa ormai il piccolo Napoleone cooperativo, il salvatore del partito “contiguo”, di cui non è più lui “contiguo”?
«Non ci faremo triturare», promette D´Alema. Sacrosanto. Non si faccia triturare, con determinazione, prontezza e trasparenza. Per non dover mai giustificare, come fece Craxi in un celebre discorso parlamentare, le «risorse aggiuntive» dei partiti.