4 Ottobre 2005
Norma devastante, ci allontana dalla democrazia
Autore: Gian Carlo Caselli
Fonte: La Stampa
In matematica sono sempre stato deboluccio. Per questo ammiro gli ingegneri. Nei loro confronti, forse, ho persino un complesso di inferiorità. Coi numeri, io non ci so fare come loro. Ma le cose, da ultimo, mi vanno un po’ meglio. Perché vedo che i numeri contano fino a un certo punto, non solo per me, ma anche per il legislatore e per il ministro della giustizia, che per di più è anche ingegnere. Mi riferisco alla vicenda della cosiddetta legge Cirielli (o ex Cirielli: sembra infatti che più nessuno voglia assumersi la responsabilità di legare il suo nome all’iniziativa), in calendario martedì 4 ottobre per l’approvazione alla Camera.
Tempo fa il ministro della Giustizia ha fatto sapere (seduta n. 561 del 16-12-04 Camera Deputati) che nel 2001, 2002, 2003 e 2004 si sono prescritti – rispettivamente – 123 mila, 151 mila, 184 mila e circa 210 mila procedimenti. A fronte di questi numeri impressionanti (in costante crescita), invece di sforzarsi di diminuire i casi di prescrizione riducendo drasticamente la durata dei processi, con la cosiddetta legge Cirielli si vogliono abbattere i tempi entro cui si può accertare se e da chi un reato è stato effettivamente commesso, causando inevitabilmente un ulteriore aumento delle prescrizioni: una specie di resa, di rinunzia alla pretesa punitiva per una fascia estesissima di reati; l’esatto contrario di un sistema giustizia efficiente e moderno.
Dunque, i numeri non sono decisivi, a dispetto della loro forza. Ma costituiscono pur sempre dati obiettivi, con una loro testardaggine difficile da scalfire. Forse è per questo che il ministro non ha fornito quegli altri numeri, ancorché ufficialmente richiesti, relativi all’impatto che la cosiddetta legge Cirielli avrebbe sui processi pendenti una volta approvata. Grazie ad un intervento del presidente Casini, sembra che alla fine anche questi numeri saranno comunicati. Ma fin d’ora si può facilmente ipotizzare che l’impatto della nuova legge sarà devastante, viste le cifre già sconvolgenti del passato, destinate inevitabilmente ad un forte aumento a seguito della prevista forte restrizione dei tempi di prescrizione.
Di qui un’altra ipotesi: che il Guardasigilli voglia fare concorrenza al collega ministro della Sanità: nel senso che i numeri saranno comunicati (se lo saranno) solo all’ultimo momento – e quindi con ogni cautela – allo scopo di evitare uno choc agli addetti al sistema giustizia, possibile causa di scompensi e collassi. In tal caso il ministro della Giustizia andrebbe ringraziato, ma resterebbe da capire perché i numeri – questa volta – non abbiano sin da subito avuto l’importanza che di solito rivestono per gli ingegneri.
Se i numeri non preoccupano (quanto meno a livello di legislatore e ministro), vediamo allora il merito dei problemi. La sezione di Milano dell’Anm, in un suo documento, ha osservato che «non saranno i processi ad essere più veloci, ma i tempi per perseguire i reati assai più brevi…; diminuirà l’arretrato, non però perché diminuiranno i reati ma, semplicemente, perché non si riuscirà a celebrare in tempo la gran parte dei processi e, segnatamente, quelli che maggiormente incidono sui cittadini onesti (bancarotte, truffe), sulle casse dello Stato (corruzione, peculato), sulla sicurezza dei cittadini (omicidi colposi, furti in abitazione, associazioni a delinquere semplici)».
E tutto questo mentre la carenza di personale amministrativo e di segretari costringe a celebrare solo poche udienze alla settimana, senza mai superare le ore 14; mentre non vi sono più soldi per pagare gli stenotipisti, per cui in molte sedi giudiziarie si è tornati alla verbalizzazione a mano; mentre per citare i testimoni(non essendo più possibile utilizzare la polizia giudiziaria) ci si deve rivolgere a quei pochissimi ufficiali giudiziari che vi sono, e che spesso notificano gli atti via posta, con gravi ritardi rispetto ai tempi già ordinariamente biblici del processo; mentre la finanziaria imporrà cospicui tagli alle spese dei ministeri, presumibilmente compresa la Giustizia, e proprio non si vede a che cosa sia ancora possibile materialmente rinunziare.
A chi giova tutto questo? Certamente non alle vittime dei reati, per le quali diventa sempre più difficile veder riconosciuti i propri diritti. Quanto agli imputati, c’è il rischio concreto di un rafforzamento di quel diritto penale a due velocità (forte coi deboli, debolissimo coi forti) che già da tempo i giuristi più attenti denunziano. Ma allora ci si allontanerebbe sempre più da una giustizia giusta. Anzi, ci si allontanerebbe dalla democrazia.
Procuratore generale di Torino