20 Ottobre 2005
Non abbiamo capito
Autore: Roberto Cotroneo
Fonte: l'Unità
Sulle dimissioni di Michele Santoro ognuno può pensarla come vuole, ma quello che è accaduto ieri pomeriggio ha un elemento fondamentale da cui non si può prescindere, e da cui parte qualunque discorso. Anzi, un elemento paradossale.
È paradossale che un giornalista con il seguito di pubblico come quello che aveva Santoro sia stato epurato personalmente dal presidente del Consiglio, attraverso il famoso editto di Sofia, quando oltre Santoro furono allontanati dal video Luttazzi ed Enzo Biagi.
Ed è ancora paradossale che Santoro abbia vinto una causa proprio in riferimento a tutto questo, una causa dove un magistrato ha ordinato di reintegrarlo nelle sue funzioni, e questo non sia stato fatto. Ed è ancora più paradossale che tutto questo sia avvenuto non in un’azienda privata, ma addirittura alla televisione di Stato, nel servizio pubblico, alla Rai, per intenderci.
Allora quando accadono episodi incredibili come questi non ci si può lamentare troppo se le cose poi si ingarbugliano e i comportamenti finiscono per diventare meno nitidi di quanto si dovrebbe, e di più difficile lettura.
Santoro si è dimesso da parlamentare europeo, lo ha fatto annunciandolo attraverso una conferenza stampa. E le sue dimissioni lasciano un po’ di amaro in bocca. Non si dovrebbe fare, e siamo sicuri che Santoro cercherà il più presto possibile di spiegare ai suoi 526.535 elettori il perché di tutto questo.
Perché sono stati più di 500 mila quelli che si sono messi in fila, documenti in una mano, certificato elettorale dall’altra e sono andati al seggio per votare il giornalista televisivo. E non hanno votato Santoro perché era senza lavoro. E non lo hanno votato certo per fargli un regalo, o perché lui non sapeva come occupare il suo tempo.
Gli elettori lo hanno votato perché hanno giustamente pensato che un giornalista esperto di comunicazione come lui potesse essere una voce importante in Europa. Ora che Santoro si è dimesso, i suoi nemici hanno un’arma in più per strumentalizzare il suo gesto.
Ora che ha lasciato il suo seggio al parlamento europeo quelli che non l’hanno voluto in Rai, quelli che dicono che era fazioso e che mettono in discussione la sua professionalità raccontano che lo ha fatto per poter prendere liberamente parte alla trasmissione di Adriano Celentano di questa sera: Rockpolitik.
E anche questa non è una buona cosa, anche questo è il frutto di un ingarbugliamento che non doveva accadere. Le dimissioni dal Parlamento Europeo non possono essere messe in alcun modo in relazione con la trasmissione televisiva di un cantante e show man come Adriano Celentano. E sarebbe stato utile che nessuno potesse fare un uso strumentale di questo gesto.
Ma questo è un paese dove tutto è paradossale, dicevamo. Bisogna ammettere che per le sue dimissioni Santoro ha sbagliato i tempi, e che forse la tentazione di avere di fronte una platea televisiva di milioni di persone, per poter dire le cose che nessuno gli ha lasciato più dire, ha fatto il resto.
Ma è importante che sia proprio lui, e siamo sicuri che lo farà, a spiegare chiaramente il motivo di tutto questo. Certamente farà capire ai suoi elettori che Celentano non può pesare sul piatto della bilancia di queste dimissioni assai più del loro voto, che è tutto un equivoco, che era una decisione maturata da tempo, perché forse vuole tornare in Rai, e forse potrà avere un altro programma, e forse si farà quello che è sacrosanto fare: obbedire alla legge italiana, mettere in atto una sentenza e ridargli la possibilità di lavorare.
Solo che non è detto ormai che in questa grande confusione ci si riesca fino in fondo. Una brutta confusione, a destra certo, ma anche un po’ a sinistra, quando accadono cose come queste.
Celentano che va oltre il semplice programma televisivo, e va fuori dai canoni dell’intrattenimento, un europarlamentare che prima di tutto è un giornalista televisivo che esasperato finisce per dare la sensazione, certo sbagliata, di dimettersi per gestire il proprio rilancio attraverso i milioni di spettatori di Rockpolitik.
E alla base di tutto questo questa ambigua democrazia televisiva che oscilla pericolosamente da un Porta a Porta di Bruno Vespa alla Repubblica anarchica e carismatica dove impera e officia da gran sacerdote l’ex molleggiato.
Per fortuna ormai sappiamo che fuori da questi deliri mediatici in cui anche Santoro, volente o nolente, è finito, c’è un paese reale, che si mette in fila anche per le primarie, che vuole una democrazia chiara e semplice, che si è stancato di proclami e di apprendisti stregoni.
E che ha guardato con qualche legittima perplessità alla proposta di un Pippo Baudo governatore della Sicilia; un paese che è stanco di confondere il paese reale con il paese della virtualità mediatica.
Per questo è importante che Santoro lo faccia subito, che non lasci ai suoi nemici l’arma più pericolosa, quella della delegittimazione, quella di aver tradito un principio democratico, e la fiducia dei suoi elettori, che sono qualcosa di assai più impegnativo e importante del generico «pubblico».
I suoi nemici hanno poco da cantare vittoria: Santoro saprà togliersi di dosso l’accusa di essere uno che ha barattato un seggio europeo, importante e di assoluto rispetto, per un arringa da dieci milioni di spettatori (forse), vissuta come un ritorno in Rai in grande stile