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5 Aprile 2007

Nell’Ulivo esplode l’ira dei promotori Parisi: “Sembriamo conservatori”

Giornata di tensione nel centrosinistra, Rifondazione blocca le proposte di Margherita e Ds. Rutelli: il quesito uccide il partito democratico
Autore: Goffredo De Marchis

Il ministro della Difesa,
Arturo Parisi.
Roma- “Primo: fermare il referendum. Perché sfascia il Partito
democratico”. È Francesco Rutelli a dettare la linea della guerra frontale
al quesito nel vertice dell’Ulivo sulle riforme elettorali con Romano Prodi
e Piero Fassino. La sua analisi degli effetti sul Pd è condivisa dal
segretario dei Ds, ma soprattutto sposata dal premier che sa bene come il no
al referendum sia l’unico vero collante della maggioranza, il filo che tiene
insieme Ulivo, Rifondazione e i partiti più piccoli. Così infatti si
conclude il successivo incontro dell’Unione: ok alla bozza Chiti e
soprattutto botte da orbi al quesito: “È inadeguato”.

La decisione
della maggioranza però scatena la rabbia dei referendari del centrosinistra.
Apre un nuovo fronte trasversale, mette seriamente a rischio l’unità del
centrosinistra proprio mentre il centrodestra (escluso l’Udc) trova una
sintesi sulle riforme, dopo l’incontro di lunedì ad Arcore. “Sarà anche
un’intesa finta – è il ragionamento di Prodi – ma loro l’hanno trovata. E se
pensavamo di portare la Lega dalla nostra parte, beh finora non è successo”.
Dunque, l’Unione è costretta a trovare un punto di equilibrio. Lo fa
sacrificando lo strumento del referendum, la spinta che dovrebbe sollecitare
il Parlamento a lavorare davvero per modificare la “porcata” di
Calderoli.

Questa soluzione però scava altri solchi, crea nuove
divisioni. Giovanna Melandri, ministro dello Sport, avverte: “Resto nel
comitato promotore. Non basta una riunione ad Arcore e una dell’Unione per
risolvere il problema”. Arturo Parisi reagisce con stupore, tanto più che
nemmeno Prodi ieri si è opposto alla deriva antireferendaria. E da giorni il
Professore sta cercando di convincere il ministro della Difesa a fare un
passo indietro sui quesiti. “Così sembriamo noi i conservatori – è la tesi
di Parisi -. È assurdo non riconoscere all’iniziativa dei comitati i meriti
straordinari che ha. A cominciare da quello di aver fatto fare tanta strada
al dibattito sulla riforma elettorale. Ora però dobbiamo scegliere: cosa ci
guida, la paura o la speranza”. Insomma, il referendum non si tocca, è la
pistola con cui bisogna sedersi al tavolo della trattativa. “Se salta il
referendum, si spegne la luce e la riforma non la vedremo mai”, sospira il
senatore dei Ds Giorgio Tonini, altro promotore.

L’impressione è che
la toppa (no al referendum per nascondere la mancanza di accordo su
un’ipotesi di modifica della legge) sia peggio del buco. Rutelli ha spiegato
i riflessi sul Partito democratico di una possibile vittoria referendaria:
“Saremmo costretti a fare un listone con tutti dentro. Una forza unica
fittizia in cui il Pd, il suo profilo riformista, si confondono con le altre
anime del centrosinistra. E il potere di ricatto dei piccoli aumenterebbe”.
Argomenti che possono essere ribaltati. “Se è vero quello che dice Rutelli
non si capisce perché i partiti minori facciano le barricate contro il
quesito”, osserva Tonini. E il costituzionalista dell’Ulivo Stefano Ceccanti
avverte i leader: “Il no al referendum dimostra che i ricatti dei piccoli
già funzionano benissimo. Comunque noi partiamo il 24 aprile con la raccolta
delle firme. Saremo sommersi dalla partecipazione e ci ricorderemo delle
posizioni di Rutelli quando eleggeremo la costituente del Partito
democratico”.

Nella riunione di ieri pomeriggio l’Unione è stata incapace
di trovare l’intesa su una proposta. Bloccata dai veti incrociati,
dall’aggressività di Rifondazione che ha persino chiesto di tenere fuori le
riforme istituzionali dal dibattito. “È un iter troppo lungo, dà ossigeno al
referendum”, ha spiegato Gennaro Migliore. L’Ulivo ancora una volta non è
riuscito a imporre il tanto evocato “timone riformista” alla coalizione. Ha
avanzato l’ipotesi del sistema francese e del sistema spagnolo: bocciate
entrambe. L’Udeur ha replicato: fate uscire tutti i vostri dirigenti dai
comitati referendari. Alla fine è stato il verde Angelo Bonelli a proporre
di richiamarsi alla “bozza Chiti”, cioè al lavoro del ministro delle
Riforme, che per il momento è una modifica minimal dell’attuale legge. A
tarda sera Fassino ha convocato la segreteria della Quercia. E l’umore era
piuttosto nero. “Dobbiamo dire basta ai ricatti dei partiti minori. Anche
loro devono usare il buon senso”, ha tuonato. Con qualche perplessità i Ds
ora guarda all’istruttoria del “loro” ministro Chiti, troppo
accondiscendente con i piccoli. Non sono sfuggiti i continui richiami di
Prc, Verdi e Pdci alla “bozza” del ministro. E se anche Fassino pensa che il
listone sarebbe un problema per il Pd, non può non difendere il referendum
come lo stimolo a una riforma votata dal Parlamento. Oggi Prodi ricomincia
le consultazioni con i partiti di maggioranza. Con il serio pericolo serio
di trasformare il “giro” in un gigantesco sfogo delle tensioni interne
all’Unione.