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3 Aprile 2005

Nella storia

Autore: Paolo Mieli
Fonte: Corriere della Sera

Karol Wojtyla passa adesso alla storia, storia che d’ora in poi lo annovererà tra le due o tre più grandi figure religiose, politiche, culturali e morali del Novecento. Innanzitutto perché egli è l’uomo che ha saldato ogni conto con i due totalitarismi del secolo nei quali s’era personalmente imbattuto nella sua Polonia – quello nazifascista e quello comunista – dando così un contributo fondamentale alla costruzione di un mondo in cui né il primo né il secondo (si spera) possano mai più riaffacciarsi.

In secondo luogo per aver saputo guidare la Chiesa fin dentro il terzo millennio senza quelle indulgenze postconciliari nei confronti dei tempi nuovi, libero da ogni spirito subalterno alla modernità e anzi dedito in ogni modo alla riaffermazione e in qualche caso alla riscoperta dei valori originari della Chiesa stessa.

Quella del Papa polacco è stata una Chiesa che ha dato un apporto fondamentale al processo da cui è uscito in frantumi l’impero sovietico ma ad un tempo non si è poi messa in alcun modo «al servizio» o più semplicemente al traino dei vincitori della guerra fredda, gli Stati Uniti d’America.

E con quale vigore è stata condotta questa seconda operazione di scissione delle responsabilità dalla guida del mondo libero lo si è potuto costatare nei primi mesi del 2003, quelli che precedettero il conflitto in Iraq.

Un atteggiamento di irriducibile opposizione alla guerra, quello di Giovanni Paolo II, reso possibile e plausibile non solo per il fatto che il Pontefice, a differenza di altri rappresentanti del mondo pacifista, aveva le carte in regola per la strenua lotta di cui si è detto contro tutti i totalitarismi, ma anche per la straordinaria iniziativa attraverso la quale il Pontefice in persona aveva chiesto perdono all’umanità per errori e malefatte della Chiesa.

È questo, almeno ai nostri occhi, un punto fondamentale: Wojtyla è stato il Papa del dialogo interreligioso, della mano tesa al modo ebraico e musulmano, del riconoscimento dei torti della propria parte. Qualcosa a ben pensarci di davvero atipico, unico nella Storia universale.

Che forse ha provocato incomprensioni nel suo mondo ma che gli ha conquistato un enorme rispetto da parte di chi professa religioni diverse da quella cattolica e anche nel mondo dei non credenti.

E pure a non voler tenere nel dovuto conto ciò che questi suoi ventisette anni sul soglio di Pietro hanno contato sotto il profilo ecumenico, va riconosciuto che al cospetto di Karol Wojtyla persino il mondo dei non cattolici è stato obbligato, eccezion fatta per qualche residuo, a mettere in soffitta toni, argomenti e stilemi del tradizionale anticlericalismo e anzi ad emendarsi non senza qualche fatica e sofferenza da essi.

Anche nei campi come quelli inerenti al tema della vita in cui le posizioni di molti laici non si sono ricongiunte a quelle della Chiesa, ha costretto tutti a guardare ad esse come ad intuizioni di fede dalle quali non si può prescindere e che per giunta prima o poi possono rivelarsi «vere» anche sotto il profilo scientifico.

Talché oggi ci parrebbe un errore da parte della Chiesa cercare, come è accaduto in molti precedenti conclavi, un successore a Wojtyla all’insegna di una voluta discontinuità.