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5 Aprile 2005

Nella fossa dei leoni con un coraggio tardivo

Autore: Aldo Grasso
Fonte: Corriere della Sera

Ci voleva una batosta elettorale per far recedere Silvio Berlusconi dai suoi propositi solipsistici, dalle apparizioni televisive in splendido isolamento, dalle interviste senza confronto. Ci voleva il responso negativo delle urne per spingere il presidente del Consiglio nel covo di «Ballarò», in partibus infidelium.

Ci voleva una insoddisfazione forte all’interno della maggioranza per far mutare strategia al leader di Forza Italia. Così, inaspettatamente, Berlusconi si è dovuto confrontare con due fieri avversari come Massimo D’Alema e Francesco Rutelli. Ha avuto coraggio il Cavaliere, bisogna riconoscerglielo.

È andato nella fossa dei leoni di Raitre, ha sostenuto il confronto con temerarietà, ha persino accettato e risposto agli sfottò dei suoi interlocutori che gli davano dello «sfasciacarrozze»: una mossa sicuramente efficace anche se tardiva. La sua improvvisata ha tolto spazio alla festa del trionfo del centrosinistra.

Dopo la discussione di ieri sera molti dei suoi si saranno rammaricati della sua riluttanza a confrontarsi in video. Persino a dispetto dei troppi applausi del popolo di «Ballarò», sonoramente ostile al presidente del Consiglio.

Non eravamo più abituati allo scontro diretto. C’era sempre un Bruno Vespa, un Emilio Fede a reggere la candela: l’avversario era virtuale e per nulla virtuoso, lo si poteva caricare di ogni nefandezza senza che questi potesse replicare. Faceva, invece, una certa impressione sentire Berlusconi dare del bugiardo a Rutelli («Siete dei campioni nel ribaltare la verità», splendida litote per dire mentitori) o sentire D’Alema prendere in giro Berlusconi con un velenoso «mi consenta».

Se la memoria non ci inganna gli ultimi scontri diretti sono ormai un lontano ricordo: nel 1996 due confronti fra Berlusconi e Prodi e uno fra Berlusconi e D’Alema, nel 1994 confronto fra Berlusconi e Occhetto davanti a Enrico Mentana. Allora si sprecarono le metafore sportive per spiegare le tattiche differenti usate dai contendenti.

Nei due scontri Berlusconi stava più sui fatti (giocava a uomo), Prodi e Occhetto andavano più sul teorico (giocavano a zona). Una volta il premier ha vinto, una volta ha perso. Poi basta: Berlusconi riteneva che scontrarsi con un avversario significasse legittimarlo (la sua ossessione era Rutelli); riteneva, ancora l’altrieri, di dover ricorrere a un improbabile confronto all’americana con Prodi «per evitare manipolazioni».

Il diavolo non è mai brutto come lo si dipinge (anche se Mediaset viene sempre dipinta come un angelo).
Ogni chiamata alle urne propone fenomeni legati intimamente alla tv. La politica internazionale, a partire da quella americana, ci dice che i media, e soprattutto la tv, non sono più soltanto canali che veicolano opinioni e notizie sui fatti, ma sono diventati essi stessi produttori di opinione.

A tal punto che la discussione politica non è più qualcosa che la tv segue, ma qualcosa che si adatta alle esigenze e ai modi della tv. A tal punto che non ci ricordavamo più cosa fosse un confronto in diretta nella nostra tv: vedere battagliare Berlusconi e Alemanno, da una parte, e D’Alema e Rutelli, dall’altra, è stato qualcosa di tonificante, di piacevolmente non previsto.

Scoprire che D’Alema era pallido, i capelli brizzolati, ma sempre molto lucido. Scoprire (mica tanto) che Berlusconi era abbronzato, i capelli tinti, in difesa. Tutte cose minute cui non eravamo più abituati.

Se ci si scazzotta in tv si è almeno sicuri di essere tutelati dalla metafora dell’incontro di boxe, dalle regole del gioco polemico, dalla retorica del confronto, dalla dialettica delle accuse. Speriamo che l’isolamento di Berlusconi sia per sempre finito e che ora non dica più di no «ai dibattiti con più persone». Sono soltanto dibattiti.