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10 Maggio 2005

Nel Centrodestra tutti contro tutti

Autore: Massimo Franco
Fonte: Corriere della Sera
Senza incorniciarlo nello scontro sulla leadership del centrodestra, il paragone appare un po’ lunare. Pier Ferdinando Casini parla di Tony Blair. E fa notare che «in gran Bretagna nessuno evoca ribaltoni e spettri di ribaltoni» nel momento in cui il primo ministro mostra di vacillare pochi giorni dopo il voto. «C’è già la possibilità che Blair debba abbandonare il campo perché c’è dissenso nel suo partito», aggiunge. E la cosa «è molto interessante non solo per l’accademia, ma per la politica». Gli esegeti del presidente della Camera traducono le sue parole come un attacco obliquo contro Silvio Berlusconi: un invito indiretto al premier a non considerarsi intoccabile, né ad accusare di complotto gli alleati più critici. In apparenza, si tratta di un colpo a freddo, sferrato contro Palazzo Chigi mentre continua il minuetto sul «partito unico». In realtà, si ha l’impressione che arrivi come risposta piccata al modo in cui Berlusconi ha trattato le prospettive di una leadership di Casini sulla maggioranza di governo. Il presidente del Consiglio aveva liquidato le ambizioni dell’ex numero uno dell’Udc, sostenendo che vuole rimanere al vertice della Camera. La spiegazione ha creato irritazione; ma soprattutto, è stata vista come un tentativo maldestro per tagliare la strada a qualsiasi competizione per il dopo-Berlusconi. La metafora di Blair è stata dunque usata da Casini per rimettere in mora il capo del governo.
Se perfino un primo ministro britannico vincente deve considerarsi in bilico per i mugugni laburisti, figurarsi un leader reduce dalla batosta elettorale delle Regionali di aprile; e dopo i risultati deprimenti nel voto locale di ieri. E’ un messaggio in codice che segnala i problemi rimasti aperti anche dopo la formazione del governo. Ieri il presidente del Senato, Marcello Pera, ha cercato di accreditare l’idea del partito unico come una sorta di sfida di modernità. Ma le riserve sempre più vistose dell’Udc di Marco Follini e le perplessità di Lega e An contribuiscono a raffigurare un premier contestato; e al quale gli alleati fanno capire che una fase è finita.
E’ un braccio di ferro sordo, costellato di colpi bassi. Il timore di un collasso elettorale nel 2006 rende l’accerchiamento nel centrodestra qualcosa che riguarda tutti: ogni alleato è assediante e insieme assediato. E la prossimità di un’altra tornata di nomine accentua le diffidenze reciproche, facendo brillare i contrasti nella Casa delle libertà. «Non bisogna indulgere nella tentazione di scaricare questioni politiche sulle istituzioni», avverte il presidente della Camera. «Nessuna riforma potrà risolvere i problemi politici». Ha l’aria di una bocciatura di qualunque ipotesi di scorciatoia istituzionale. La stessa freddezza con la quale Follini accoglie la proposta di un secondo settennato di Carlo Azeglio Ciampi, conferma le distanze da FI.
Al coordinatore berlusconiano, Sandro Bondi, che non ha escluso un Ciampi bis, il segretario dell’Udc replica: «Ottima intenzione, ma non altrettanto buongusto, non essendo il Quirinale sede vacante»: anche se il capo dell’opposizione, Romano Prodi, annuncia semiserio che vorrebbe «il Ciampi ter e il Ciampi quater». Ma a impressionare sono le punture di spillo nella coalizione, che perpetuano l’immagine di una maggioranza incapace di ritrovare l’equilibrio all’ombra del nuovo governo; e divisa sulle strategie da seguire non tanto rispetto al voto del 2006, ma anche solo alle decisioni da prendersi di qui all’autunno. E’ una precarietà patologica: lo spartiacque fra il declino della leadership berlusconiana, e un «dopo» tuttora oscuro.