2222
16 Maggio 2005

Montezemolo: situazione drammatica, era meglio il voto

Colloquio con il presidente di Confindustria: sono mesi che proponiamo inutilmente una terapia d'urto "Il premier ci chiede aiuto? Non ci ha mai ascoltato"
Autore: Massimo Giannini
Fonte: La Repubblica
Luca Cordero di Montezemolo
Come il Patto di Natale del dicembre ’98, che fu voluto da D’Alema per supplire con un ampio consenso sociale al logoramento della base politica del suo governo di centrosinistra, così il "Patto di primavera", proposto a tempo ormai scaduto da Berlusconi, è solo un tentativo disperato per puntellare, con il sostegno di imprese e sindacati, il crollo del governo di centrodestra.

Non ci credono Cgil, Cisl e Uil. E meno che mai ci crede Confindustria. Luca di Montezemolo è pessimista: "Adesso il premier ci viene a parlare di dati preoccupanti? Adesso ci viene a chiedere un aiuto? Sono mesi che gli spieghiamo che la situazione è drammatica. Ma non ci ha voluto ascoltare. Quando un mese fa avevo detto che era meglio tornare a votare, dopo le dimissioni del governo, fui criticato: oggi temo di dover constatare che avevo ragione io…".

Il presidente degli industriali, in queste ore, ha avuto contatti a tutto campo. Dal braccio destro del Cavaliere, Gianni Letta, ai leader sindacali. Dal team di Siniscalco al Tesoro ai commissari europei di Bruxelles. E a tutti ha ripetuto lo stesso ragionamento. "L’Italia non può continuare così. Il governo non può continuare a far finta che i problemi del nostro Paese siano gli stessi dei nostri partners europei. È vero solo in minima parte…". Su questo punto, Montezemolo sta concentrando buona parte della relazione che terrà all’assemblea annuale di Confindustria, a fine maggio.

"Siamo un caso unico in Europa. Ed è inutile che si ripetano le solite grida d’allarme sulla minaccia cinese o su quella indiana. Guardiamo piuttosto alla Gran Bretagna, e allora scopriamo che nella busta paga di un operaio inglese il ‘cuneo previdenziale’ è almeno dieci volte inferiore a quello di un operaio italiano. Guardiamo alla Francia e alla Germania, e allora scopriamo che solo in quest’ultimo anno il costo del lavoro per unità di prodotto in Italia è raddoppiato rispetto a quello francese e tedesco, e che mentre la nostra produttività è ulteriormente calata, la loro è rimasta stabile o è cresciuta, grazie al mantenimento delle quote di esportazione e alla presenza della grande industria".

Questa tendenza non è di oggi, è vero. Ma il governo di centrodestra non ha fatto nulla per invertire la tendenza. Al contrario, per quattro anni di legislatura l’ha addirittura negata. Non ha mosso un dito per finanziare la ricerca, per sostenere lo sviluppo, per favorire l’innovazione tecnologica, per rilanciare la competitività. Nel frattempo, la situazione dei conti pubblici è peggiorata, e di liberalizzazioni vere neanche l’ombra.

"Non c’è una filosofia dell’impresa, non c’è un’attenzione alla concorrenza – ripete Montezemolo – e anche questo spiega perché, oggi, le cose vanno così male. Abbiamo privatizzato Autostrade e Telecom, cioè le grandi aziende che producono di fatto una rendita fissa per chi le ha comprate. Ma di apertura del mercato non c’è stata traccia. Perché il governo non ha liberalizzato l’energia, perché non si sblocca la situazione delle banche, perché non si aprono spazi nel settore delle municipalizzate? Non solo non si fa questo, ma adesso si è addirittura stralciata la riforma delle professioni. Peggio di così…".

Quest’ultima rinuncia del ministro leghista Castelli non è andata proprio giù alla Confindustria. E secondo alcuni boatos che rimbalzano da Bruxelles non è andata giù nemmeno alla Ue: la commissaria Kroes, sulla mancata liberalizzazione delle professioni in Italia, starebbe preparando un’iniziativa clamorosa. Almeno quanto lo è stata la lettera di McCreevy al governatore di Bankitalia Fazio sulle Opa degli olandesi e degli spagnoli.

"A questo punto – è il ragionamento del presidente di Confindustria – noi non chiediamo elemosine al governo. Non stiamo con il cappello in mano, a chiedere qualche sconto fiscale. Sull’Irap un segnale sarebbe importante, anche solo sul piano psicologico. Ma come ho già detto al governo, qualunque iniziativa sul versante fiscale deve essere compatibile con l’equilibrio della finanza pubblica e con i vincoli europei. Pensare a un nuovo strappo con l’Europa, in questo momento, sarebbe un errore".

Come dire: non c’è nessuna fiducia sul successo dell’ennesima forzatura di Berlusconi, che pretende dalla Commissione europea la possibilità di eliminare in un solo anno l’Irap sulle imprese, finanziando in deficit la restituzione dell’imposta per un importo totale di 12 miliardi di euro.

L’impressione, ascoltando le riflessioni che si fanno a Viale dell’Astronomia, è che gli industriali guardino già al dopo 2006. Non si aspettano più nulla da questo governo, al quale chiedono solo di non fare altri danni, di peggiorare ulteriormente la situazione, di non appesantire ancora di più il bilancio con una Finanziaria elettorale. Lo stesso anatema lanciato da Confindustria sul contratto degli statali ha l’aria di un monito a futura memoria, per chi verrà dopo Berlusconi.

Sull’oggi, Montezemolo sembra convinto che alla fine il governo cederà alle richieste dei sindacati: "In questo modo – osserva ancora Montezemolo – il nuovo aumento si sommerà a quello già concesso da Fini due anni fa, che era stato del 5,2%. Così gli statali avranno avuto aumenti complessivi, in busta paga, superiori al 10% in due sole tornate contrattuali, a fronte di un’inflazione di poco superiore al 2%. Non mi sembra un comportamento responsabile, e lo dico a prescindere dalle ricadute e dai trascinamenti che questo rinnovo del pubblico impiego avrà sui contratti del settore privato…".

Il leader di Confcommercio Billè si accontenta, perché almeno con questi incrementi salariali le famiglie consumeranno qualcosa in più. Montezemolo non ci crede, e considera questa una "pia illusione".

Tuttavia, anche in questo caso, la sensazione è che quella di Confindustria sia una battaglia di principio che serve a piantare paletti per la prossima legislatura, piuttosto che a produrre effetti pratici in quella che sta finendo. E allora, sempre in questa prospettiva futura, Montezemolo non vuole chiudere la sua confederazione in una posizione di puro rivendicazionismo.

"L’ho detto tante volte, e lo ripeto: noi imprenditori abbiamo le nostre responsabilità, e vogliamo fare la nostra parte, fino in fondo, per impedire il declino dell’Italia. Ma per farlo, vogliamo che ci sia una sensibilità concreta sui problemi dell’impresa. Dell’impresa vera, di quella che sta sul mercato e che, per competere, deve poter contare su un Sistema Paese solido, su un sistema fiscale premiale, che incentiva l’investimento e il rischio…".

Sotto questo profilo, il berlusconismo è stato una doppia delusione per chi aveva guardato al Cavaliere come all’"Imprenditore d’Italia". Ma evocare questo tema vuol dire prendere di petto la questione che, oggi, è sotto gli occhi di tutti. In un Paese in piena recessione, con le famiglie che faticano ad arrivare al 27 del mese e un sistema industriale allo stremo, privo di grandi players globali e ricco di piccole aziende tagliate fuori dal gioco per ragioni di fisco e di costo, ci sono settori nei quali invece si concentra la ricchezza e si ingrassa la rendita.

Le banche, le assicurazioni, i fondi d’investimento, e soprattutto il mattone. Fior di immobiliaristi, che oggi giocano partite strategiche come Bnl o Rcs, dispongono di risorse enormi, cumulate in pochi anni, grazie a un regime tributario non proprio equilibrato. Rimettere in circuito questo fiume di denaro vuol dire tornare a discutere di tassazione delle rendite finanziarie, che oggi in Italia subiscono una ritenuta del 12,5%.

Inferiore alla media europea, la metà esatta dei livelli impositivi che gravano su tutti gli altri settori. È un argomento caro a Bertinotti, ma sul quale sia il Polo sia l’Unione hanno cominciato a discutere. E la stessa Confindustria potrebbe essere disposta a ragionare, in un’ottica di lungo periodo e in un quadro di riforme di respiro più vasto. "È vero – ammette il presidente – c’è oggi in Italia una cospicua massa di ricchezza, tutta finanziaria e speculativa. È denaro bloccato, che non ha ricadute sulla produzione, sull’occupazione, sullo sviluppo. È legittimo porsi il problema di come rimetterne in circuito almeno una parte…".

Che possa essere una sfida abbordabile già da questo governo, a un anno dalle elezioni politiche e con una maggioranza che litiga su tutto, è molto arduo da credere. Montezemolo non si fa troppe illusioni. Ma aspetta "al varco" anche il centrosinisra. Aspetta "al varco anche Prodi". "Perché – si chiede – non ho ancora sentito una parola chiara dall’Unione, sul braccio di ferro nel settore creditizio, sulle Opa, sulla riforma delle professioni, sul ruolo degli immobiliaristi? Perché non ho ancora sentito una proposta concreta sul rilancio della competitività e sulle iniziative per sostenere la concorrenza?".

Temi da prossima legislatura, ormai. Sui quali Confindustria scommetterà tutte le sue carte: "Non facciamo invasioni di campo sulla politica – conclude Montezemolo – ma vogliamo dire la nostra su questi argomenti. Vogliamo farlo da imprenditori. Ma anche e prima di tutto da cittadini, che hanno a cuore il futuro di questo Paese".

(15 maggio 2005)