DOPO 16 anni di tentativi andati a vuoto la Camera ha approvato un provvedimento generale di clemenza. È una buona notizia per chi auspica il dialogo fra maggioranza e opposizione, perlomeno sulle grandi questioni nazionali: in questi casi infatti la Costituzione pone l’impervia soglia dei due terzi dei voti in Parlamento, e ieri questa soglia è stata superata largamente.
E’ un’ottima notizia per il popolo invisibile dei nostri detenuti, per chi divide una cella singola con altri tre compagni, per chi dorme su letti a castello che radono il soffitto, per chi s’ammala di malattie da Terzo Mondo come la tbc e la scabbia a causa della promiscuità che alberga nelle carceri italiane. 12 mila detenuti in meno significa restituire un po’ di spazio a chi rimane, e grazie allo spazio un po’ di dignità. Ma il modo in cui questa vicenda va a concludersi lascia in bocca un gusto amaro, e insieme all’amarezza solleva una triplice domanda.
Primo: perché all’indulto non si è coniugata l’amnistia?
Quando è cominciata la partita il ministro Mastella l’aveva promessa a chiare lettere. Eppure soltanto l’amnistia (che estingue il reato, prima ancora che la pena) avrebbe potuto liberare i giudici dai troppi fascicoli che ne ingombrano il lavoro, sfoltendo almeno in parte i 9 milioni di processi aperti che rendono la nostra giustizia un monumento all’ingiustizia, e insomma permettendogli di dedicarsi a tempo pieno ai crimini più odiosi, che tuttavia sovente rimangono impuniti. Un provvedimento d’amnistia sarebbe stato il preludio di una più generale riforma del nostro sistema penale e processuale. E del resto il programma dell’Unione lega a doppio filo la clemenza alla riforma del codice penale, della quale però fin qui non si vede neanche l’ombra. Perché?
Secondo: il perimetro dei reati su cui cade l’indulgenza della legge. Ogni reato, va da sé, costituisce un’offesa alle regole del vivere comune, ed è quindi riprovevole. Però non tutti i reati sono uguali, e soprattutto non sono uguali i rei. Se un sentimento di pietà incrocia il destino dei povericristi, dei 16 mila tossicodipendenti ospitati dalle patrie galere, dei 20 mila extracomunitari, ben difficilmente esso s’attaglia alle malefatte dei colletti bianchi. E allora perché mai l’indulto copre anche i delitti finanziari? Perché perdona corrotti e corruttori? E perché ancora ieri la Camera ha respinto l’emendamento che avrebbe scorporato dal condono il voto di scambio mafioso?
Terzo: le clausole segrete del contratto. C’è insomma un che di sospetto in quest’ansia garantista da parte di chi nella legislatura scorsa avversava fieramente le riforme troppo garantiste del governo Berlusconi. C’è un che di stonato nella fretta con cui è stata celebrata questa messa. E c’è infine un che d’opaco sulle autentiche ragioni dell’accordo fra sinistra e destra. Le prove generali della grande coalizione? Certo, l’indulto esige larghi numeri, ed esige perciò i voti dell’opposizione. Ma cosa avrebbe impedito alla maggioranza di governo d’avanzare fin da subito una proposta più limpida e coerente, girando sul centro-destra la responsabilità di non votarla? Vorremmo saperlo, vorrebbero saperlo gli elettori. In fondo, chiediamo solo un po’ di trasparenza.