ROMA – Scatoloni dappertutto. Quadri da risistemare, computer da tarare. I nuovi uffici a Palazzo Valdina dell’ex ministro della Difesa, Antonio Martino, sono un cantiere aperto. Anche per i traslochi serve una exit strategy . Martino dice di aver bisogno di una vacanza, dice di aver salutato il suo successore, Arturo Parisi, e vaticina che sarà un buon ministro della Difesa. «Lui ha qualcosa che io non ho», sostiene. E spiega: «Lui ha più peso politico di me. E’ in grado più di me di influire sulle scelte politiche. Io non ho avuto problemi perché il precedente governo, in politica estera, era compatto. Ma Parisi si troverà a che fare con un governo diviso e allora il suo peso tornerà utile».
Onorevole Martino, Parisi e D’Alema hanno deciso di accelerare la strategia italiana di uscita dall’Iraq. Lei che ne pensa?
«Penso che sia sbagliato non mantenere fede agli impegni assunti. Non si può rinunciare a portare a termine la missione. Non si difende così il prestigio e l’onore internazionale dell’Italia. Non lo si fa scappando».
Ma non è mica una fuga…
«Vede, il calendario di ritiro dall’Iraq predisposto dal precedente governo e illustrato a gennaio in Parlamento non è uscito dalla mia fantasia ma è frutto di un lavoro che ha coinvolto me e lo Stato maggiore della Difesa. E’ stato concordato con gli alleati, con le autorità irachene, è stato studiato nei minimi dettagli quanto a fattibilità militare».
Beh, il nuovo governo avrà pure il diritto di modificarlo, o no?
«Certo che sì. Ma non vedo come potranno fare un’operazione coerente con il prestigio internazionale dell’Italia facendo una cosa diversa da quella che abbiamo fatto noi. Nella coalizione di governo c’è il partito del “tutti a casa subito senza se e senza ma”. Parisi e D’Alema devono pur concedere qualcosa a costoro. Ma così mettono a rischio il prestigio dell’Italia e la sicurezza dei nostri militari».
A rischio il prestigio dell’Italia solo per venir via dall’Iraq un po’ di tempo prima del preventivato?
«Sì, anche solo un giorno prima se non si è d’accordo con gli alleati e con gli iracheni. L’Iraq non è una colonia. Il nuovo governo dovrà parlare con le autorità irachene. E voglio vedere quando sentiranno quello che ho sentito io, invocazioni del tipo: “per piacere non ci abbandonate, non ci lasciate”.
Non si commuoverà nessuno.
«Vede, il Centrosinistra è stato contrario all’intervento militare, questo lo abbiamo capito. Non si deve però prendere una decisione sulla base dei giudizi del passato ma guardando al futuro. Non si può guidare una barca stando a prua e guardando a poppa, si va a sbattere. Ora il futuro in Iraq presenta due scene: o l’Iraq ha successo e diventa un Paese stabile oppure precipita nel caos e diventa un rifugio di terroristi. Se il Centrosinistra vuole questa seconda cosa, lo dica. Se non la vuole, si adoperi».
Il nuovo governo dice di voler rafforzare l’impegno civile in Iraq. Lei aveva già predisposto qualcosa, in questo senso, o no?
«Sì, a marzo è partita la preparazione di un nuovo provincial reconstruction team che sarà guidato da un funzionario italiano delle Nazioni Unite.
Inoltre è arrivato in Iraq un inviato dell’Onu perché al team italiano si chiede di aiutare la provincia del Dhi Qar a dotarsi di strutture civili in grado di funzionare bene. Allora ecco, dopo mesi e mesi di retorica del Centrosinistra sull’Onu possiamo dire: questa è una missione Onu. Va bene così?».
Onorevole Martino, la prossima parata del 2 giugno sarà “dimagrita” rispetto alle precedenti edizioni. Lo ha deciso il governo uscente o quello attuale?
«La prossima parata sarà particolarmente importante perché quest’anno cade il 60° anniversario della Repubblica. La preparazione è partita molti mesi fa e il governo Berlusconi ha inteso ridimensionarla un po’».
Per quale motivo?
«Per ragioni economiche. D’altronde, non necessariamente le parate interminabili sono le migliori».
Onorevole, da parte di settori della sua stessa parte politica si è lamentato il fatto che il governo Berlusconi non sia riuscito a nominare per tempo il nuovo comandante generale dei carabinieri. Vuole spiegare perché?
«Io ero dell’idea che la nomina dovesse essere fatta prima dello scioglimento delle Camere, a gennaio. Il comandante generale decadeva il 5 maggio. La Presidenza del Consiglio mi rispose: se lo nominiamo così presto delegittimiamo l’attuale; lo faremo dopo lo scioglimento delle Camere d’accordo con l’opposizione. Ma poi l’accordo non c’è stato più e abbiamo prorogato il generale Gottardo».