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18 Gennaio 2007

Maionese italiana

Autore: Carlo Bastasin
Fonte: La Stampa

Forse «la maionese è davvero impazzita», come disse Prodi riferendosi all’Italia «Paese che si disintegra». Ma quando la maionese va male, non è molto utile dar la colpa alle uova.

Ieri a Torino il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, è stato contestato da giovani che lo accusavano di collusione «coi padroni» per i suoi progetti di riforma delle pensioni. Senza riforma, come è noto, chi comincia a lavorare adesso ha la speranza di ricevere come pensione, tra quarant’anni, la metà di ciò che riceve un pensionato oggi. Ha senso che i giovani ostacolino la riforma e che dunque protestino contro i propri interessi? Sì, ha perfettamente senso se essi partecipano – come le uova inconsapevoli della maionese – a un «discorso pubblico» in cui è irrilevante la realtà e in cui vale solo lo scontro tra schieramenti ideologici.

In un tale «discorso» gli interessi del pensionato di oggi sono ancora contrapposti a quelli dei padroni, come nell’ideologia del conflitto di classe motore della storia, mentre nella realtà entrambi – «padrone» e «pensionato» – stanno sfruttando i pensionati di domani. Il finto conflitto di classe sostituisce il contratto tra le generazioni, perché il linguaggio politico di cui viviamo e in cui siamo immersi è fatto di finzioni ereditate dagli Anni Settanta: un mondo dove ci sono i comunisti ma non il comunismo, i fascisti ma non il fascismo, dove si contesta Padoa-Schioppa ma il vero trofeo è la ricorrenza, trentennale non a caso, dei fischi a Lama. I giovani anarchici dei centri sociali, se non violenti, hanno tutto il diritto di essere poco pragmatici.

Ma i cuochi, chi rappresenta gli interessi politici di destra o di sinistra e li discute di fronte all’opinione pubblica, questo diritto all’impazzimento non ce l’ha. Poche ore prima, un’altra maionese impazzita: Vicenza uguale Kabul? L’allargamento di una base militare, che non modifica la presenza militare americana nel nostro Paese, può davvero essere equivalente allo scontro tra visioni inconciliabili del mondo: tra un sincero pacifismo e un onesto pragmatismo? Se è così, la sinistra radicale dovrebbe ritirarsi subito dalla coalizione di governo. Romano Prodi infatti ha assunto ieri una posizione molto netta: il sì all’allargamento della base è definitivo.

Se Vicenza equivale al bombardamento di Baghdad, la sinistra di Pecoraro Scanio non ha margini: minacciare di non votare il finanziamento della missione in Afghanistan significa, in tale contesto, rinnegare la politica estera del governo. Ma chi può credere che qualcuno si dimetta realmente? Nessuno ha dato un significato politico o strategico alla chiusura della base militare alla Maddalena in Sardegna e forse tra un mese non si parlerà più di Ederle, per la maggior parte dei deputati la politica estera italiana ha un orizzonte geografico che si ferma al Consiglio comunale e un orizzonte temporale che si arresta alle elezioni amministrative di maggio e ogni giorno ha la sua maionese. Se alle parole non corrispondono responsabilità, perde senso anche distinguere tra chi è riformista e chi è radicale. Tutta la politica deve urgentemente cambiare linguaggio e misurarsi seriamente sui fatti. Come si può fare politica seriamente – rimediando alle ragionevoli proteste dei cittadini di Vicenza e ai rischi di povertà dei futuri pensionati – in un Paese in cui gli spiriti si indignano, ma solo nell’ora dei telegiornali, e poi vanno a ballare al Bagaglino? Qual è l’incentivo alla politica virtuosa che rimedia ai bisogni dei cittadini e che aiuta i giovani a «prevedere» il proprio futuro?