13 Aprile 2006
Magris, cultura e politica
Autore: Luigi La Spina
Fonte: La Stampa
La «notte prima dei risultati» non è passata insonne, alla luce del balletto televisivo di numeri e chiacchiere. Per Claudio Magris, scrittore di grande successo, ma anche cittadino interessato alla politica fino al punto di averla persino sperimentata una decina d’anni fa, come senatore indipendente nelle liste di centrosinistra, lo spettacolo «dell’inutile parlare» è insopportabile.
Così, con invidiabile freschezza mattutina, prima di partecipare ai lavori per un concorso universitario, può commentare sia la campagna elettorale sia il risicatissimo successo della coalizione prodiana.
«Non sono un politologo», premette, «ogni tanto la politica guizza in qualche mio articolo, apprezzo la passione dell’impegno, ma detesto questa forma di eccitazione artificiale in cui si è ridotta. C’è un enorme spreco di tempo, sottratto al vero lavoro politico, da parte dei leader che si esibiscono ossessivamente in tv. Anche questo è un aspetto di quel generale spappolamento, di quello che il mio amico Gianni Vattimo definirebbe “il pensiero debole” divenuto un modo di vivere. In generale, c’è una caduta di ogni momento forte che favorisce anche questo modo di far politica».
Questo atteggiamento viene attribuito, in genere, all’influenza culturale del fenomeno Berlusconi. Ma non le pare che anche il centrosinistra sia preda di questa sindrome debolistica, se vogliamo chiamarla così?
«Ciò deriva dal fatto che la sinistra attuale ha perso il forte senso di responsabilità che caratterizzava i suoi principali filoni culturali, da una parte il comunismo e, dall’altra, la liberaldemocrazia, quella di Bobbio. Due Italie diversissime, entrambe sconfitte, ma accomunate dalla capacità di distinguere, di fare i conti con la realtà, con i numeri veri e non con quelli virtuali».
E’ quella sinistra che non capisce il berlusconismo e crede di poterlo esorcizzare con una marcia, con una manifestazione…
«Si possono e si debbono avere sentimenti di sdegno morale per taluni atteggiamenti o comportamenti dell’uno o dell’altro leader, ma non si possono demonizzare gli elettori di Forza Italia. Se vogliamo davvero vincere, bisogna persuadere una parte di quei cittadini a cambiare voto. Diceva Einaudi: le teste o si contano o si spaccano. Contarle non sarà certo l’ideale, ma spaccarle è certamente peggio. E’ assurdo l’atteggiamento élitario di chi li considera ottusi pecoroni, sedotti dalle televisioni. Sono persone che manifestano reali disagi per alcuni aspetti della sinistra, esprimono giuste proteste per la sensazione di essere emarginati o disprezzati, di sentirsi soggetti non adeguatamente rappresentati nel centrosinistra. Bisogna avere molta umiltà e soprattutto liberarci di quel senso irresponsabile, insieme moralistico e giulivo, per cui alla sinistra basta stare insieme, fare un corteo, poi tutti contenti si torna a casa».
La persistenza di una forte adesione al partito di Berlusconi «rivelata» anche dall’esito elettorale, non dimostra la superficialità con la quale una parte della sinistra guarda alla società italiana?
«In tutto il mondo, negli ultimi anni, si sono verificati mutamenti di cui bisogna tener conto per cercare di capire che cosa succede. Soprattutto in Italia hanno investito quella che una volta si chiamava la borghesia, la classe generale. E’ sparito il classico proletariato, è cambiato il rapporto con l’informazione nella vita pubblica. Berlusconi si è inserito, con estremo fiuto ed estrema capacità, in questo meccanismo che comunque era già in corso».
Lei, quindi, non condivide la tesi di Moretti nell’ultimo suo film, perché tende a rovesciarla?
«Condivido lo spirito del film di Moretti, non la tesi di un film che peraltro è un film modesto, cinematograficamente molto modesto».
Si è parlato di Italia spaccata. Forse sarebbe meglio parlare di due Italie non comunicanti. Come due coniugi che vivono, in una casa comune, due vite separate. Sarà proprio difficile governare un Paese così?
«Spero che il margine strettissimo con il quale il governo Prodi sarà costretto a governare possa, quasi paradossalmente, aumentare il senso di responsabilità in questa maggioranza. Che si capisca, nella coalizione, come non ci si possa permettere alcuna sciocchezza, alcun personalismo, alcuna vanità».
Già la campagna elettorale dell’Unione, con la confusione delle lingue e delle teste sulle tasse, ha dimostrato come il centrosinistra sia abilissimo nel farsi male da solo.
«Quello delle tasse è stato un autogol che merita il premio Nobel dell’autogol. Per l’intelligenza di chi l’ha fatto, spererei che fosse in malafede. Purtroppo, chi ignorantemente pecca, ignorantemente si danna. Sembra che ce l’abbiano messa tutta per perdere. Comunque, ritengo che quello che più abbia turbato l’elettore medio, quello non particolarmente appassionato dalla politica, ma che si limita a votare ogni cinque anni, sia stata la paura per l’eterogeneità della coalizione di centrosinistra. Insomma, il timore di un ministero fragile, in preda a contrasti interni».
A questo proposito, forse il successo dell’Ulivo, contrapposto al modesto risultato di ds e Margherita, indurrà finalmente ad accelerare la costituzione del partito democratico.
«Non sarà facile, ma penso che in questi anni si arriverà alla formazione di questo partito. Credo che sarà l’alternativa reale in questo Paese e sarà anche l’alternativa vincente».