ROMA Ci sono pochi dubbi sul fatto che l’accusa di ambiguità che Massimo D’Alema rivolge al cardinal Ruini – col corollario dell’invito ad astenersi da appelli che possono confondere gli elettori cattolici – contenuta nell’intervista di oggi al Messaggero, è destinata a suscitare polemiche. Il punto è capire da parte di chi. E’ evidente che nell’imminenza del voto amministrativo di domenica, il primo riflesso sarà di compattamento da parte del centro-sinistra o comunque di compressione della vis critica. Tuttavia gli strascichi potrebbero essere velenosi in prospettiva: non sarà agevole, infatti, per molti settori della Margherita associarsi al ragionamento del presidente ds in occasione di altre prove, come il referendum sulla fecondazione. Piuttosto è sul piano più squisitamente politico che le parole di D’Alema possono fin d’ora lasciare il segno. Laddove cioè l’ex premier invita Berlusconi, nel caso di sconfitta alle regionali, ad una sorta di autosospensione dall’attività. In questo modo D’Alema lascia capire quale sarà, in caso di vittoria il 3 e 4 aprile, la trincea sulla quale si attesterà tutta l’opposizione: un esecutivo sostanzialmente sfiduciato dal Paese non può permettersi di modificare così in profondità la Costituzione e dunque dovrà bloccare devolution e premierato, e meno che mai procedere ad una modifica del meccanismo elettorale non condivisa o almeno concordata con l’Unione. Argomentazioni – è facile previsione – che il Cavaliere rigetterà in toto ma che, appunto, da un lato danno la misura di quanto sarà forte la mobilitazione del centro-sinsitra e dall’altro mirano a far breccia in quella parte della Cdl che già ora nutre perplessità su alcuni dei contenuti della riforma costituzionale.
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E ancora. Dalle parti della maggioranza quel che più suscita attenzione è la decisione di Berlsuconi di impegnarsi nella campagna elettorale dopo averla sostanzialmente snobbata. Per paura, motteggiano i suoi avversari. Forse. Però, mettendo tra parentesi le strumentalizzazioni elettorali e volendo andare un po’ più a fondo, due considerazioni emergono. La prima è che da sempre Berlusconi sostiene che gli elettori decidono se e chi votare solo nei sette giorni precedenti l’apertura dei seggi. Dunque inutile impegnarsi prima. La seconda è che se è vero che mettendoci la faccia il premier se la gioca, è altrettanto vero che anche sottrarsi alla competizione non è meno oneroso. Berlusconi ha già detto che anche in caso di sconfitta non si dimetterà. Ma se le cose non dovessero andare così male, l’assenza del presidente del Consiglio avrebbe avuto una conseguenza palese: che ad annettersi il successo sarebbero stati i governatori del Polo. I quali, ad urne chiuse, non avrebbero certo mancato di far pesare il loro rinnovato potere di interdizione, immettendo un tessera di difficile inserimento nel già complicato puzzle della coalizione. Con Berlusconi in campo, se il Polo vince o limita i danni non c’è dubbio quale sarà il petto sul quale si appunterà la medaglia. In caso di sconfitta, il premier resta, non si vede chi possa comunque metterne in dubbio la leadership.