L´invito di Berlusconi alla Margherita a cambiare casacca e indossare la livrea del centrodestra è già stato liquidato dal coro sprezzante dei destinatari come una sciocchezza, un colpo di sole o un gesto patetico. Quindi non meriterebbe ulteriori commenti, se non fosse un segnale della campagna elettorale che ci attende e del declino politico in corso.
S´è già capito insomma che nei prossimi dieci mesi Berlusconi le proverà davvero tutte pur di mantenere il potere, al solito. Ed è chiaro ormai che il centrosinistra le proverà tutte pur di perdere. Neppure questa è una novità.
Se dobbiamo credere ai sondaggi, gli opposti ma altrettanto titanici sforzi finora non sono serviti a nulla. Il coma elettorale del berlusconismo sembra irreversibile e anzi si aggrava con l´avanzare della recessione economica. Ma chissà che, dài e dài, non si riesca a riesumare il cadavere.
La sortita nel campo nemico di Berlusconi, nel suo ruvido qualunquismo, ha costretto la Margherita a un´orgogliosa levata di scudi ulivista e dunque non è parsa una gran mossa. Il premier avrebbe fatto meglio a tacere, come prima del voto referendario.
Ma la trovata ha almeno il merito di dar voce a una tentazione nascosta del quadro politico, all´antica voglia di palude trasformista che il fallimento dei referendum ha materializzato di colpo. Dopo un decennio di faticoso maggioritario, il ceto politico è già stanco di responsabilità e rimpiange appunto la vecchia palude centristra dove tutto si tiene.
Berlusconi ha fiutato l´aria e traduce la tentazione in una specie di Opa politica, una pubblica offerta d´acquisto del nemico di ieri. Non importa se per farlo deve inventarsi moderato, chiedere magari a Casini di candidarsi al posto suo e negare in definitiva quattro anni di governo all´insegna dell´estremismo, dell´asse con la Lega e dello stravolgimento costituzionale.
Naturalmente il personaggio è immune allo scrupolo morale. Per lui il moderatismo è una merce che si può comprare dall´oggi al domani. Ma come sempre il cinismo di Berlusconi mette allo scoperto la mancanza di saldi principi e forti identità nello schieramento avversario.
Ed è in fondo a questo che davvero mira con il paradossale invito. La questione è sempre la stessa: che cosa tiene insieme il centrosinistra Quali valori, quale modello Da dieci anni la risposta non si trova. All´avventura scellerata del berlusconismo il centrosinistra ha saputo oppore ragioni critiche efficaci e giuste ma mai una visione davvero alternativa della società.
I problemi sono stati ogni volta altri, la leadership anzitutto, la formula dell´alleanza, i nomi, i rapporti fra partiti. Non esiste in Europa una sinistra così amletica. La nostra ogni sei mesi cambia modello straniero, una volta è il laburismo alla Blair, un´altra la socialdemocrazia di Schroeder, per alcuni dovrebbe essere il socialismo laico di Zapatero.
Ma intanto gli altri sono e i nostri vogliono sembrare. L´Ulivo, ch´era il nocciolo di una possibile identità unitaria della sinistra italiana, fu assassinato nella culla e ancora adesso stenta a rinascere.
Lo spettacolo ultimo dato dall´opposizione prima e dopo il referendum è imbarazzante. Certo è difficile non dar ragione al professor Parisi quando s´indigna per i festeggiamenti dei rutelliani. Un´astensione del 75 per cento non può essere occasione di giubilo o di giubileo anticipato.
Di più, con la conferma della legge 40 l´Italia diventa l´unica nazione al mondo dov´è proibita la ricerca sulle cellule staminali, a parte un pugno di nazioni dove vige la legge coranica e il Costarica. Che cosa c´è allora da festeggiare
Eppure i toni, l´atteggiamento, gli argomenti con cui i prodiani hanno commentato l´invito di Berlusconi a Rutelli suonano eccessivi, vendicativi e un po´ paranoici. Sembra quasi che si augurino davvero il voltagabbana dei margheriti per poi poter gridare al tradimento.
Possibile che Prodi e Parisi non si rendano conto che il problema dell´alleanza è la debole identità politica e non il «tradimento» di questo o quello, ieri Bertinotti e D´Alema, oggi Rutelli o Mastella.
Quanto tempo dobbiamo perdere ancora, oltre gli anni di Berlusconi, perché la classe dirigente capisca che la crisi italiana è troppo seria per ridurre la politica a un conflitto di personalità.