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19 Ottobre 2005

L’occasione dei riformisti

Autore: Ezio Mauro
Fonte: la Repubblica

Due terremoti in una settimana. Prima la legge elettorale che chiude con il maggioritario e riapre la stagione proporzionale, cambiando da sola tutto il paesaggio politico, con i partiti nuovi protagonisti al posto dei Poli e delle coalizioni, mentre il centrodestra si consegna tutto intero nelle mani di Berlusconi. Poi le primarie convocate nello scetticismo generale per incoronare un leader senza terra e con un disegno contestato dal suo stesso partito: che diventano a furor di popolo uno spettacolo politico senza precedenti, capace non solo di trasformare la qualità della leadership ma di modificare, per forza di cose, la fisionomia dell´intero centrosinistra, cambiando i suoi rapporti di forza, il suo percorso e persino il suo destino.


I due passaggi sono naturalmente legati tra loro. Da un lato, i cittadini di centrosinistra hanno votato anche per reagire alla forzatura berlusconiana sulle regole elettorali, e al percorso di guerra annunciato dal Cavaliere mettendo in fila proporzionale, devolution, legge salva-Previti, par condicio. Dall´altro lato, la scelta di Prodi di rivolgersi agli elettori ha immediatamente sgonfiato la finta ripresa berlusconiana, costruita tutta dentro il recinto protetto del Palazzo, all´interno di una maggioranza parlamentare che non esiste più nel Paese, in un teatrino di ex leader trasformati in gregari portaborracce, con rifornimento fisso a Palazzo Grazioli.


Molto semplicemente, un nuovo soggetto politico è entrato in campo, ed è il cittadino elettore di centrosinistra. Quattro milioni e trecentomila persone che hanno testimoniato l´esistenza di un´altra Italia, inconciliabile con la stagione berlusconiana, decisa a chiuderla al più presto. Per ottenere questo scopo, i cittadini hanno scelto la strada della democrazia diretta.

Certo, convogliati dai partiti (in primo luogo dai ds), ma in realtà portati al gazebo dalla possibilità inedita di dare un indirizzo alla politica di centrosinistra dopo anni consumati dai leader tra veti e ostilità interne, senza la capacità di pensare in grande, disegnando dall´opposizione il profilo di una sinistra di governo europea. In più, questo nuovo soggetto politico voleva testimoniare con ogni evidenza la sua scelta per Romano Prodi.

Perché non dire la verità? La società politica vedeva in Prodi una sorta di leadership obbligata e residuale, un trascinamento senza alternative, senza entusiasmo e senza più Ulivo della vittoria ulivista del 1996. I cittadini elettori ­ quattro milioni di italiani ­ vedono invece nell´ex presidente della Commissione Europea il vero antagonista storico di Silvio Berlusconi, l´uomo che lo ha già battuto e che può batterlo, e soprattutto il leader che ha un progetto politico unitario capace di superare divisioni e resistenze interne, quel progetto che si chiama Ulivo.


Tutto questo spiega il terremoto delle primarie. Un terremoto intelligente, perché ha dato senza equivoci a Prodi quel mandato, quella forza e quella rappresentanza che non trovava nei partiti. Ma in più, ha fissato i rapporti interni al di sopra di ogni ambiguità e di ogni strumentalizzazione, perché nessuno potrà più dire che il 15 per cento di Bertinotti condiziona il 75 per cento di Prodi. Infine, e soprattutto, con Prodi ha premiato e ha rilanciato una linea politica che molto semplicemente ha vinto le primarie, e dunque da oggi si imporrà al tavolo delle segreterie e ­ finalmente ­ del programma. È la linea che punta ad unire le due culture riformiste disponibili ad una responsabilità di governo europea, occidentale, moderna.


In questo senso (ed è uno dei risultati a mio parere più importanti) il voto delle primarie strozza in culla ogni ipotesi esplicita e ogni tentazione nascosta di incubare un´esperienza centrista da far nascere alle prime difficoltà del prossimo governo: magari a metà legislatura, e possibilmente con il concorso eterologo di quel pezzo di imprenditoria (con i suoi cantautori) che scommette sulla debolezza della politica nell´illusione terzista di far saltare il banco, trasformando d´incanto un network in establishment. No, sarà per un´altra volta. La politica, per fortuna, può ancora fare la sua parte anche in Italia, non siamo un Paese da commissariare. Semmai da cambiare, e in fretta, come testimoniano i quattro milioni delle primarie.


Ci sono dunque tutte le occasioni perché la sinistra riprenda la strada che porta al governo del Paese, compiendo intanto ­ e finalmente, visto il ritardo ­ il proprio destino. I due obiettivi sono intrecciati, e sono oggi possibili. Solo una prova straordinaria di incapacità, dunque di inadeguatezza e di insensibilità da parte dei gruppi dirigenti può disperdere questa doppia occasione.

Lo strumento non deve essere inventato perché esiste, ed è l´Ulivo, inteso come lo ha sempre inteso Prodi, e cioè come il luogo politico dove (attraverso passaggi successivi come la lista unitaria, il gruppo parlamentare unico) può nascere il partito del riformismo italiano, o il partito democratico. Il luogo d´incontro della cultura politica socialista e di quella cattolico-democratica in una forza moderna e risolta, d´impianto europeo, che chiuda con le eredità del Novecento e con i contenitori provvisori, artificiali e vegetali in cui si trova oggi costretta una sinistra intraducibile in Europa, perché senza nome.


In fondo, le primarie oltre a Prodi hanno premiato proprio le due forze che stanno alla base dell´Ulivo, i ds e la Margherita. Tocca ai loro dirigenti raccogliere la spinta e la sfida dei quattro milioni, subito. Per i ds, c´è da un lato la tentazione di approfittare del maledetto proporzionale per regolare i conti con la Margherita e poi negoziare da primo partito, e dall´altro lato c´è la consapevolezza di dover trovare un approdo conclusivo ad un trapasso identitario decennale, che ha bisogno di una rottura definitiva con il peccato originale comunista.

Per la Margherita c´è la resistenza di chi deve ammettere il fallimento del progetto di un partito-ovunque, con le mani libere ma protetto dal recinto del maggioritario, che consentiva persino di sfidare Prodi, come è avvenuto pochi mesi fa: oggi quel recinto è saltato e le primarie hanno riattivato la calamita prodiana, interna-esterna al partito, che richiama alla missione delle origini, quella di una forza nata per sciogliersi, perché voleva cambiare la sinistra.


Sono resistenze ed egoismi che gli elettori non capirebbero e che non sono nell´interesse del Paese. Alla sinistra serve unità, certezza nel comando, chiarezza di linea, identità risolta, per poter finalmente selezionare un programma che parli all´intero Paese. Bisogna che i leader siano all´altezza del risultato delle primarie, non resistano al terremoto che è invece un´occasione straordinaria. Bobbio l´aveva detto: discutono del loro destino, e non capiscono che dipende dalla loro natura. Cambino la loro natura, cambieranno il loro destino. Tutto ciò, per una volta e dopo le primarie, è a portata di mano.