11 Luglio 2005
Lo status quo è pericoloso
Autore: Tommaso Padoa-Schioppa
Fonte: Corriere della Sera
Chiunque abbia osservato alla televisione gli attentati di Londra ha provato grande ammirazione per il popolo e le autorità britanniche: ordine, compostezza, controllo. Proprio lo stesso Paese che nel 1940 aveva preparato la sconfitta di Hitler opponendogli, prima ancora delle armi, il carattere.
Era evidente una quasi perfetta preparazione: tutto era pronto per un attentato, anche il modo in cui i mezzi d’informazione avrebbero operato. Bloccato l’accesso all’epicentro della tragedia, telecamere puntate assai più sui soccorsi che sulle vittime, estrema cautela nel conteggio dei morti, visione di feriti sempre già medicati. I terroristi hanno clamorosamente perso la battaglia delle immagini.
Per mostrare panico e cruenza, le televisioni dovevano continuamente ricorrere agli attentati di Madrid del 2004 o a quelli di New York del 2001.
Business as usual , è il bell’elogio della normalità che fa la lingua inglese: «Andiamo avanti come al solito», non cediamo al ricatto dell’emergenza. Tenacia, rifiuto di lasciarsi dirottare dall’imprevisto. Vi è una profonda virtù in quest’essere, come dice Dante, «ben tetragono ai colpi di ventura».
«Andiamo avanti come al solito», però, anche a Gleneagles. E lo sforzo di magnificare i risultati del G8 non è riuscito a nascondere che su Africa, commercio, clima, energia i risultati sono minimi o nulli.
Business as usual qui è segno di miopia, non di tenacia.
Non si poteva forse attendere uno scatto di volontà all’ultima ora, per effetto degli attentati. Il vertice non è più la riunione informale inventata nel 1975 da Giscard d’Estaing e Schmidt: poca televisione, poche persone, vestite da lavoro, senza ordine del giorno, emancipate per qualche ora da apparati e consiglieri.
Quella era una piccola barca cui l’equipaggio poteva imprimere un cambio di rotta; questo è un enorme transatlantico guidato da un tetragono pilota automatico, sul quale i cosiddetti potenti della terra viaggiano come passeggeri, in abito di vacanza o di gala.
Non gli attentati terroristici dovrebbero far mutare la rotta dei Paesi ricchi, potenti, prepotenti, inquinatori. Ma un’analisi attenta e spregiudicata dello stato del mondo e dei propri stessi interessi, sì.
L’analisi dice che i temi del vertice erano quelli su cui è a rischio il futuro dell’umanità. Dice che la cifra del regalo all’Africa è modesta e non nuova (i quattro quinti erano stati decisi da tempo). Che cancellare debiti in genere serve a poco e forse nuoce, perché rischia di atrofizzare le capacità produttive dei Paesi poveri e di aggravarne le corrotte amministrazioni.
Dice che solo una minore grettezza nel commercio – soprattutto agricolo e tessile – può favorire lo sviluppo dei continenti poveri: sono le spropositate sovvenzioni al cotone americano o alle barbabietole europee che impediscono al contadino africano di esportare cotone e zucchero. Dice che portando il carbonio dal sottosuolo all’atmosfera si cambia il clima e si minaccia la vita sulla terra; l’effetto serra è stato scoperto da più di un secolo.
Africa, commercio, clima: i temi dell’agenda erano quelli giusti. Sono temi centrali anche per la questione dell’odio e della sicurezza nel mondo, terrorismo compreso. Ma su quei temi il progresso da anni è solo millimetrico, mentre l’aggravamento corre.
«Attentano ai nostri valori», «non cambieremo il nostro modo di vivere»: sono le espressioni che ricorrono nel commento dei grandi presenti al G8. Ma forse i valori di libertà e democrazia, beni preziosi non solo «nostri» ma dell’umanità intera, li mette in pericolo proprio la nostra incapacità di cambiare, anche poco, il nostro modo di vivere.