Non è un lieto fine. Neppure per coloro – e noi siamo tra questi – che da
tempo sono convinti della necessità di sostituire Fazio perché la sua permanenza
alla Banca centrale danneggia l’Italia, compromettendo la sua credibilità nel
mondo. Sfiduciare un governatore nel momento in cui sta per presentarsi, con i
suoi colleghi e i ministri economici dell’Occidente, al Fondo monetario
internazionale rappresenta una singolare scelta di tempi e di luoghi. E comporta
un’insensibilità per la considerazione del Paese sul piano internazionale che
colpisce particolarmente dato che a prendere la decisione è stato Silvio
Berlusconi, violentemente critico (e non a torto) verso i magistrati milanesi
che gli fecero recapitare un avviso di garanzia durante il vertice dell’Onu
sulla criminalità, a Napoli, nel ’94, «davanti agli occhi del mondo».
Ma più grave ancora è il fatto che la decisione, a lungo inutilmente
sollecitata da due successivi ministri dell’Economia, Tremonti e Siniscalco, sia
stata presa in un vertice di maggioranza nel quadro di un baratto con altre pur
importanti questioni politiche, come le primarie nel Polo, per garantire la
permanenza al potere della Casa della libertà. Hanno pesato la determinazione di
Fini e la convinzione di Tremonti, che l’avrebbe posta come condizione per
accettare un ministero più che mai impegnativo. Sono in scadenza titoli pubblici
per miliardi di euro e il protrarsi della permanenza di un governatore criticato
da molti banchieri, considerato poco imparziale e discusso per i suoi
comportamenti, non avrebbe certo favorito le casse del Tesoro italiano. Ma che
succederà se Fazio rifiuterà di accogliere i pressanti inviti a lasciare?
L’ex ministro Siniscalco riprende questa mattina il suo mestiere di
professore universitario. In un Paese in cui nessuno si dimette, la sua rinuncia
merita apprezzamento. Ma il gesto era reso necessario dagli aut aut pronunciati
dal titolare dell’Economia, che aveva ripetutamente chiesto le dimissioni di
Fazio senza ottenere dal presidente del Consiglio altro che mezze frasi di
condivisione, mai seguite da alcuna decisione concreta, e che ieri l’altro era
stato aggredito per la Finanziaria da Lega e Udc.
Siniscalco non aveva altra
strada per salvare la sua faccia e il suo futuro di tecnico. Ma le dimissioni
hanno un peso che va molto al di là del destino politico di un uomo: un governo
che ha sostituito, l’uno dopo l’altro, i due ministri cardine del proprio
programma senza riuscire ad avviare alcun serio progetto economico, dopo tanto
parlare di riforme e di rilancio della competitività, dà un’evidente
dimostrazione della sua scarsa capacità di guidare il Paese.
Il ritorno di Tremonti al ministero di via XX Settembre è certo preferibile
all’artificio dell’interim affidato al premier. Ma è difficile credere che lo
scambio tra i partner della Casa della libertà dia una soluzione stabile alla
difficoltà di convivenza tra le molte anime della coalizione: troppe volte
abbiamo sentito parlare di collegialità, di verifica, di grande intesa per dare
ancora credito ad espressioni che erano state svuotate del loro contenuto già
prima che finisse l’esperienza degli ultimi governicchi della Prima Repubblica.
A Tremonti va riconosciuta la determinazione con la quale, immediatamente dopo
gli scandali Cirio e Parmalat, ha chiesto le dimissioni di Fazio, da lui
ritenuto responsabile della mancata difesa dei risparmiatori. Né si possono
trascurare le difficoltà dell’eredità ricevuta dal ministero precedente, assai
più negativa di quanto il centrosinistra ami far credere. Ma le scelte del
professore pavese, imperniate su una successione di misure una tantum e di
condoni per tamponare i buchi di bilancio, fondandosi sull’erroneo presupposto
di una ripresa dietro l’angolo, hanno solo peggiorato il livello del debito
pubblico e le condizioni generali dell’economia. Il riproporsi del passato non
consiglia quindi ottimismo.
Esamineremo serenamente la finanziaria che sarà preparata in fretta e
furia, data la brevità del tempo disponibile, auspicando che il rinnovato
ministro si adegui all’impegno di Siniscalco, «mai più condoni», e non
dimentichi l’impegno verso l’Unione europea a ridurre il deficit. Ma la
situazione rende improbabile che l’atteso documento rappresenti qualcosa di più
di uno strumento elettorale, tenuto insieme dalla volontà di restare al potere e
di rafforzarsi in vista delle elezioni. Lo hanno fatto, senza eccezione, tutti i
governi che intravedevano l’appuntamento con le urne. E Berlusconi, malgrado da
diversi suoi alleati arrivino opposti consigli, è risoluto a non mollare. Fazio
è stato definito «una patella» dal «Financial Times» per il suo attaccamento
alle pietre del Palazzo. Ma non è l’unico esempio della specie nel panorama del
potere italiano.