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7 Marzo 2004

Lo champagne di Madrid

Autore: Stefano Folli
Fonte: Corriere della Sera

«La Spagna è una bottiglia di champagne appena aperta… e adesso tutta la forza della società se ne sprigiona». Splendida definizione del suo Paese, quella offerta dal ministro degli Esteri di Madrid, Ana Palacio, e raccolta dalla rivista Time . Splendida, ma piuttosto dolorosa se letta da occhi italiani. Una volta, tanti anni fa, eravamo noi la bottiglia di champagne. Eravamo noi il Paese delle opportunità in riva al Mediterraneo. Oggi, dice ancora la Palacio, è la Spagna di Aznar (e probabilmente domani del nuovo premier Rajoy) ad avere «il vento nelle vele» e a guardare al futuro con la fiducia che tale condizione permette. Nessuno pensa che lì sia il paradiso terrestre, anzi. Il nazionalismo indipendentista è una minaccia pesante e l’immigrazione islamica è un fenomeno che richiede d’essere affrontato con il giusto equilibrio di prudenza e fermezza – come altrove. Ma il modello spagnolo funziona e nell’Europa opaca di questi anni la notizia non finisce di stupire.


Anche perché la ricetta sembra abbastanza semplice. E’ fatta soprattutto di ottimismo e voglia di agire: nell’economia, nelle arti, nel vivere quotidiano. E l’ottimismo nasce da un’idea dinamica e giovane, mai anchilosata, della società. Un’idea europea nel senso concreto e non retorico del termine. C’è chi, come Michele Salvati, ha proposto di recente una chiave di lettura per capire perché gli spagnoli di oggi sono come li vediamo. Una chiave storico-politica che mette in luce le differenze tra Italia e Spagna e le spiega con l’assenza di ingessature ideologiche nel secondo caso.

Se Salvati ha ragione, come i fatti sembrano dimostrare, non illudiamoci di poter colmare tanto presto lo svantaggio. L’Italia resta un Paese rattrappito nella gabbia delle corporazioni e dei conflitti d’interesse. Un Paese in cui la spinta riformatrice è troppo lenta e timida in entrambi gli schieramenti nei quali si articola un bipolarismo poco convinto. Oppure, quando la spinta c’è, si scontra contro un formidabile muro di resistenze. Come accade con la riforma scolastica.


Del resto, è facile invocare una supposta «normalità» dei rapporti politici quando si è seduti intorno al tavolo di un seminario. Molto più difficile è trasferirla nelle aule del Parlamento. I primi anni della legislatura in corso hanno segnato l’affievolirsi e non certo il consolidarsi del cosiddetto spirito bipartisan . E hanno dimostrato quanto sia difficile per la maggioranza e l’opposizione, in un clima sempre nevrotico, condividere talune decisioni di fondo. Quelle che toccano le regole basilari del sistema.


Così si tende a rimanere sospesi tra corporativismo e giustizialismo. Nei convegni si riconosce, ad esempio, l’urgenza di affrontare le conseguenze del disastro Parmalat prima che sia troppo tardi: prima cioè che il vuoto della politica sia surrogato ancora una volta dai tribunali. In apparenza nulla ostacola la convergenza in Parlamento su tale esigenza. Tutelare i risparmiatori senza compromettere la credibilità del sistema creditizio; riformare le autorità che vigilano o dovrebbero vigilare… difficile immaginare sulla carta un terreno più propizio a un rapido accordo.

Ma per riuscirci occorre che esista una classe politica (di destra e di sinistra) capace di deporre per un momento il proprio interesse particolare, anche elettorale, e di identificarsi nell’interesse generale del Paese. A parole è tutto abbastanza comodo, molto più complicato è riuscirci nei fatti. Ma il tempo stringe e dall’estero ci osservano. Se la Spagna è una bottiglia di champagne, l’Italia dovrebbe sforzarsi di essere almeno uno spumantino.